Recensione a tempo pieno
Recensione a cura di Mimmot
Laurent Cantet è un affermato regista e sceneggiatore francese che ama analizzare il mondo del lavoro e dei legami familiari; due temi che sono il leit motiv del suo cinema d'autore e d'impegno, dimostrando di saperli raccontare senza fronzoli e senza retorica, ma con precisione e autenticità, e di saper fare grande cinema anche trattando i semplici problemi della consuetudine, che eleva verso una dimensione di universalità.
Nel 1998 ha diretto il suo primo lungometraggio, "Risorse umane", sui problemi del lavoro e sulle conseguenze della riduzione dell'orario di lavoro in fabbrica, che gli è valso l'appellativo di 'Ken Loach francese' da parte di numerosi giornalisti e critici cinematografici.
In reltà Cantet, a differenza di Loach, si rivolge al mondo del lavoro più con uno sguardo esistenziale che politico, ponendosi e proponendoci una lucida riflessione sul rapporto tra uomo e lavoro, ma anche tra lavoro e tempo (come ci suggerisce il titolo originale di questo film, "L'emploi du temps"), il tempo degli impegni professionali, che condiziona e scandisce le nostre giornate e quindi il nostro vivere quotidiano, inconcepibile e inimmaginabile senza un lavoro.
Perdere il lavoro, dunque, non è solo una sconfitta personale, ma anche un fattore destabilizzante della quotidianità, che ci proietta in una sorta di vita che non c'è o che non ci appartiene.
Partendo da un fatto di cronaca accaduto nella provincia francese qualche anno fa (un uomo per anni, dopo aver perso il lavoro, facendosi passare per chirurgo di fama, aveva ingannato parenti ed amici estorcendo loro denaro con investimenti fasulli. Scoperto aveva fatto una strage in famiglia), Cantet mette in scena la parabola di un uomo, Vincent (affermato consulente aziendale quarantenne, benestante, brava persona, buon marito e buon padre di famiglia), che perde il posto di lavoro e si inventa una nuova, pericolosa doppia vita.
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