venerdì 14 marzo 2014

Recensione LEI

Recensione lei




Regia di Spike Jonze con Joaquin Phoenix, Amy Adams, Rooney Mara, Olivia Wilde, Scarlett Johansson

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 10,0)

"Her" in italiano si intitola "Lei". Sarebbe perfetta come traduzione, fosse "lei" solamente complemento oggetto. Ma in italiano "lei" è ormai anche soggetto. Così, la percezione della parola secondo la dizione comune falsa la sottile allusione contenuta nel titolo originale. "Her", infatti, in luogo di "she", è indizio preciso: implica una relazione. Lei, "her", è destinataria di qualcosa. Di curiosità; di desiderio. Di amore. Il soggetto è Theodore.
Theodore - soggetto introverso e mite - per lavoro scrive lettere private per conto terzi. Una professione curiosa, ma verosimile nella nostra era digitale (chi non si è mai ritrovato a mandare cartoline d'auguri da siti dedicati? O a cercare, sul web, frasi adatte a specifiche circostanze?), che Theodore esegue con bravura, spesso con passione. Theodore è divorziato, vive solo, e pensa costantemente alla sua ex. Quando arriva sul mercato una nuovo sistema operativo personalizzabile, dotato di un'evoluta intelligenza artificiale, comincia a sviluppare con la propria versione di questo sistema (Samantha) una relazione che diverrà complicata: parecchio complicata, e dagli sviluppi imprevedibili.

Alla sua prima pellicola interamente sceneggiata in proprio, Jonze ha realizzato il suo film più bello. Curiosamente, vi è giunto bandendo la sperimentazione visiva e narrativa delle sue opere precedenti, ma realizzando un film drammaturgicamente lineare, di stampo classico, affidato a un elemento di forte originalità: l'assenza fisica della protagonista femminile, che dà il titolo al film. Tra l'altro, per la splendida interpretazione vocale di Samantha, Scarlett Johansson ha persino vinto il premio come miglior attrice al festival di Roma 2013 (ci auguriamo che il doppiaggio di Micaela Ramazzotti, non male stando al trailer, possa rivelarsi adeguato).
Si sente bene, ad ogni modo, che Jonze in passato ha collaborato con Charlie Kaufman (sceneggiatore di "Essere John Malkovich", 1999, e di "Adaptation - il ladro di orchidee", 2002). Il soggetto di "Her" ha più di un debito con l'universo poetico del geniale Kaufman.
Kaufman, poi, è anche lo sceneggiatore di quel capolavoro del 2003 che era "Eternal sunshine of the spotless mind", diretto da Michel Gondry: una pellicola, oggi di culto, alla quale "Her" sarà senz'altro raffrontata, diventando, azzardiamo, oggetto di culto analogo. Molte infatti le affinità, le suggestioni comuni alle due pellicole, che si confrontano entrambe - sia pur con modalità narrative diverse - con il tema della rimozione e della persistenza della memoria emotiva, e della tentazione di sottrarsi al confronto con un partner, in un'era, quella del cosiddetto web 2.0, in cui l'individuo si sente più solitario pur in presenza di una foltissima compagnia di "amici" virtuali. Un'era nella quale, inoltre, la convergenza uomo-macchina inizia a presentare risvolti insoliti, come profetizza Cronenberg a modo suo già da qualche decennio.
Per quanto concerne in particolare la tendenza all'introversione, alla virtualizzazione solipsistica delle relazioni umane (anzitutto sentimentali), un altro film recente che dialoga intimamente con "Her" è quel gioiello di "Ruby sparks" (2012), la seconda prova registica della coppia Dayton-Faris (quelli di "Little miss sunshine", 2006).

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