Recensione sotto una buona stella
Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 (voto: 4,0)
Non sono tante le cartucce rimaste al nostro cinema, fortuna vuole che ogni tanto il tempo ci consegni cineasti di grande spessore come Garrone, Crialese o Sorrentino che regalano film di grande qualità mantenendo alta la bandiera del nostro passato glorioso.
Potrebbero essere segnali positivi se le nuove leve si affiancassero ai grandi nomi della nostra industria cinematografica; il problema è che vuoi una certa autoreferenzialità, vuoi una maturazione tardiva, spesso anche i grandi cominciamo a perderli per strada.
Un tempo le speranze risiedevano negli Opzetek e Muccino, i quali ben presto, seguendo strade diverse hanno adeguato il proprio cinema a standard preconfezionati perdendo quella spontaneità e stile che avevano fatto puntare su di loro. E che dire di un gigante come Bertolucci completamente dimenticato nonostante il suo recente ritorno?
Il caso Verdone è di sicuro quello più emblematico, quello che doveva essere l'erede di Risi, Monicelli o Sordi verso la fine degli anni 90, in parte per una crisi artistica, in parte per convenienze commerciali, ha tirato i remi in barca, consegnando il suo cinema ai produttori di cinepanettoni.
Un lento declino artistico che ha toccato punte che non si vedevano dai tempi di Dario Argento e che con "Sotto una buona stella" si può dire aver raggiunto il punto più basso.
Addirittura si insinua il dubbio che non ci sia lui dietro un lavoro così scialbo, narrativamente povero ma soprattutto tecnicamente penoso tanto da farci dire che questo non sia un film di Verdone ma al massimo con Carlo Verdone. A dire il vero un risultato così scadente era già intuibile dal terrificante trailer, certo i film non si possono valutare dai loro spot promozionali, ma se anche "il the best" sembra essere preso da un video youtube di Maccio Capatonda, il sospetto comincia a venire.
Il racconto di una storia di un uomo di successo che improvvisamente perde il lavoro e si ritrova a casa i figli nullafacenti sarebbe uno spunto tipico del suo cinema se non fosse che ben presto, tutto quello che ci aveva abituato Verdone sparisce.
Se il Verdone degli anni 80 avrebbe concentrato interamente il film su rapporto fallimentare padre-figlio, quello di oggi, "filmaurizzato", si concentra su una stucchevole storia d'amore con un'improbabile Paola Cortellesi, vicina di casa, che con fare originale si insinua nella vita del protagonista.
E di li parte un film che non si capisce cosa voglia essere, se una semplice commedia romantica, se un film sul rapporto padre figli oppure un'opera di gag in gran parte sconnesse.
Ma se il profilo narrativo è terribile quello tecnico grida vendetta. Verdone sostiene che questo film sia sperimentale perché usa per la prima volta il digitale; arrivare a considerare sperimentale il digitale dopo che da 15 anni se ne fa comunemente uso al cinema è coraggioso ma soprattutto non si capisce per quale motivo si sia cimentato in questa "nuova" tecnica.
Il ritmo è spento segno anche di un pessimo montaggio e non bisogna essere esperti di tecnica cinematografica ma qui siamo al cospetto di errori macroscopici che gridano vendetta. Per non parlare dell'abitudine che sa di masochistico, di adeguare il nostro cinema alla nostra pessima fiction dando ruoli importanti a improbabili attori come la Cortellesi, ai soliti figli d'arte come Lorenzo Richelmy o a mediocri come Tea Falco? Braccia rubate all'agricoltura.
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