Regia di
Michel Gondry con Gael García Bernal, Alain Chabat, Charlotte Gainsbourg, Miou-Miou, Inigo Lezzi, Jean-Michel Bernard
Recensione a cura di GiorgioVillosio
Voltare le spalle alla ragione, come strumento espressivo della tradizione, privilegiare modalità di comunicazione istintuali e metaforiche, pilotate da automatismi psichici e condizioni oniriche, avvertendo al contrario il reale come assurdo, è appannaggio preciso del surrealismo; inteso questo come movimento artistico e culturale nato tra le due guerre, guarda caso in Francia.
Forse per questo il regista americano Michel Gondry.. ha voluto sciacquare i panni in Senna... per produrre il suo secondo film a cavallo tra sogno e realtà. Se nel primo ("Se mi lasci ti cancello") questa dialettica si sviluppava con la rimozione del ricordo, in un viaggio nella memoria, in questo ultimo lavoro si tratta invece di un percorso esistenziale nel sonno, e dunque nel sogno.
Ma, al di là della dimensione artistico culturale, la tendenza a confondere lo stato di veglia col sonno, il passato col presente, insomma la realtà col sogno, ha una precisa valenza anche in termini psichiatrici, nell'arcipelago delle schizofrenie; esse assumono diversissime dimensioni, riguardando aspetti di demenza, di dissociazione con la perdita dei nessi logici, o della coscienza della propria identità, e varie forme di deliri e allucinazioni. Anche la psicanalisi (junghiana in particolare) ha fornito una sua spiegazione del fenomeno, addebitando questa disintegrazione della personalità alla "forza primaria dell'inconscio", che emerge sovente per la scissione tra i contenuti "mentali" e la carica affettiva.
Questa lunga premessa solo per fornire preliminarmente due possibili interpretazioni dell'opera surreale di Gondry, stante il fatto che la maggior parte della critica dichiara di averne perso le fila, accontentandosi di giudizi puramente formali. In effetti il film è difficile da seguire, nei meandri della scissione mentale del giovane (e bravissimo) protagonista; l'impressione che se ne trae, in prima battuta, è quella che si prova abitualmente alle mostre scolastiche di pitture di bambini, o talora di assistiti psichiatrici naif, dove è evidente la volontà di esprimere un proprio mondo di pure fantasie, espressione chiara di un inconscio non pilotato dal controllo razionale (peraltro fino ad un certo punto peculiare in ogni forma d'arte).
Personalmente tenterei un'altra interpretazione, vedendo il film come racconto di un'infanzia prolungata, anzi di un'adolescenza irrisolta, come succede a molti nella vita. Si parla tanto di un "complesso di Peter Pan", sovente per scherzarne, dimenticando che invece per molte persone il passaggio all'età adulta è davvero difficile, quando non addirittura irrealizzato. A favore della seconda ipotesi gioca la storia, appena accennata, del protagonista che da bambino perde la mamma seguendo il padre: questo significa cristallizzazione della personalità al momento dell'abbandono, e perdita dell'apporto educativo-formativo delle madri onnipresenti, il che crea, come si sa, turbe particolari a livello di linguaggio, sindromi autistiche, difficoltà a realizzare rapporti intersoggettivi. Ed ancora disturbi della sfera sessuale, con la tendenza a non uscire dal livello auto libidico, regredendo addirittura a quello fetale. E questo sembrerebbe trasparente nel film, con la storia d'amore per la vicina di casa, tra l'altro ossuta e "asessuata" come le adolescenti anoressiche, carenti di affettività. Con un lieto fine, però, ne "L'arte del sogno", se è vero che la cavalcata in comune dei due ragazzi sembrerebbe preludere ad un superamento dell'adolescenza grazie alla vita sessuale e matrimoniale. Così in effetti si entrava un tempo nell'età adulta.
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