martedì 20 febbraio 2007

Recensione LA CENA PER FARLI CONOSCERE

Recensione la cena per farli conoscere




Regia di Pupi Avati con Vanessa Incontrada, Ines Sastre, Violante Placido, Diego Abatantuono

Recensione a cura di GiorgioVillosio

Il regista emiliano ci ha abituato a un cinema molto sostanzioso, dalla densa materia narrativa, mirante ad abbracciare le più ampie tematiche dell'umano.
La premessa è mossa da due ragioni di opposta natura: da un canto rispondere a chi gli rimprovera la prima caratteristica (ma a farlo sono pochi) sostenendo che mette troppa carne al fuoco; dall'altro fugare il dubbio che si tratti di argomenti leggeri, come lui stesso lascia credere (per vezzo o convenienza commerciale) definendo l'opera in oggetto come semplice "commedia sentimentale". Ai primi basterebbe rispondere che generi come il romanzo, soprattutto nell'ottocento, hanno sempre rappresentato l'umano sotto ogni aspetto, con una storia principale "centripeta", intorno a cui si muovevano una miriade di personaggi e vicende "centrifughe"... come infatti avviene nell' esistenza reale.
Niente di male, dunque, che il cinema segua questa modalità, disponendo di strumenti tecnici ancora più ricchi di quelli letterari. Mentre per il secondo punto, nella apparente "leggerezza" del racconto, sembra quasi che il regista si muova "con pudore", per paura che il grande pubblico si volatilizzi di fronte a discorsi troppo impegnativi (viviamo pur nell'epoca de "Il Grande Fratello").
A conferma di questo ci rifaremmo al titolo, che sembra parafrasare film di evasione (tipo "Venga a prendere il caffè da noi") e alla divertente didascalia finale, dove compaiono i titoli dei "filmacci" girati dal povero protagonista (dove l'ironia fa dimenticare il dramma della di lui scomparsa).

Nel film, invece, si trattano tematiche drammatiche e di amplissimo respiro, come già negli ultimi del regista; se in "Quando arrivano le ragazze" il clou del racconto era l'amicizia, e ne "La seconda notte di nozze" era il conflitto tra il bene della mitezza e il male della disonestà, in questo si tratta ad ampio spettro la vicenda eterna ed irrisolta di un amore Edipico che lega irrazionalmente le donne alla figura del padre.
Per quanto fanfarone, irresponsabile e assente sia stato, questi non viene "scaricato" dalla figlia, che se ne fa tutrice in vece della madre, trionfando in tal modo sulla sua "rivale" primigenia. Non dunque una sposa vilipesa che lo odia, e dunque lo perde, ma un angelo salvifico che gli perdona comunque, amandolo senza pregiudiziali, come una madre.
Tale il personaggio impersonato (splendidamente) da Abatantuono, gaglioffo impenitente e attore fallito, che tenta il suicidio fittiziamente, dopo una fallita operazione di chirurgia estetica (con cui si illudeva di risalire la corrente del successo). Torna qui il tema, frequente in Pupi Avati, della mancata realizzazione professionale, causa di insuperabili ferite narcisistiche nell'uomo, di profonde depressioni e di una concezione pessimistica e disperante dell'esistenza.

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