venerdì 18 febbraio 2005

Recensione LA MORTE SOSPESA

Recensione la morte sospesa




Regia di Kevin Macdonald con Nicholas Aaron, Brendan Mackey, Joe Simpson

Recensione a cura di stefano76 (voto: 7,0)

Simon e Joe, due giovani ma esperti alpinisti inglesi decidono, nel 1985, di tentare la scalata della Siula Grande, nelle Ande peruviane, impresa mai tentata prima di allora. Riescono, dopo molte difficoltà, a raggiungere la cima, ma, durante la ridiscesa, Joe commette un errore e scivola, rompendosi una gamba. Sono completamente da soli, a migliaia di metri di altezza, in mezzo a tormente di neve e appesi a pareti ripidissime. La situazione è drammatica: Simon tenta di portare in salvo l'amico calandolo con una corda ogni novanta metri e raggiungendolo di volta in volta e continuando in questo modo la discesa, ma durante una di queste manovre, confuso anche da una tormenta di neve, non si accorge di aver calato il compagno ferito oltre un burrone. Joe rimane appeso, senza la possibilità di raggiungere la parete né di riarrampicarsi sulla corda: sopra di lui, Simon non capisce cosa stia succedendo, Joe non gli alleggerisce il peso attaccandosi alla parete e lui sta scivolando. Non riesce più a tenerlo. Dopo un'ora e mezza di straziante attesa, Simon fa l'unica cosa che gli impedirà di cadere nel vuoto: taglia la corda che lo lega all'amico. Convinto che Joe sia morto finisce la discesa e torna al campo base, distrutto dal senso di colpa, ma Joe, in realtà, è miracolosamente sopravvissuto alla caduta e riuscirà, dopo un viaggio infernale, a portarsi in salvo da solo e a ridiscendere il resto della montagna e del ghiacciaio con una gamba spezzata.

Il film è tratto da una storia realmente accaduta ed è basato sul libro autobiografico omonimo che Joe Simpson ha scritto per narrare la vicenda accadutagli e per scagionare l'amico Simon Yates, accusato e criticato dalla comunità degli alpinisti per aver tagliato la corda e averlo fatto precipitare.
Girato dal documentarista Kevin Macdonald (vincitore del premio Oscar nel 2000 per il documentario One day in september), è un interessante esperimento che unisce uno stile asciutto e documentaristico con quello della fiction. Il film è infatti totalmente narrato dalle voci fuori campo dei due protagonisti che raccontano la vicenda, dunque senza dialoghi, lasciando spazio totalmente alle immagini, ma senza rinunciare, comunque, a passaggi che hanno sicuramente il sapore della narrazione cinematografica. La pellicola ha infatti una sua sceneggiatura (scritta dallo stesso Joe Simpson), ha un'evoluzione narrativa ben precisa e, a mio parere, centra in pieno il tentativo, appunto, di miscelare i due generi. Lo spettatore non può che immedesimarsi nel personaggio di Joe e, tra paesaggi e immagini di rara bellezza, vive insieme a lui il senzo di abbandono, la sofferenza e l' immane forza (sia fisica che, soprattutto, psicologica) che lo spingono a trarsi in salvo ad ogni costo, nonostante apparentemente senza speranza.

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