Recensione ma quando arrivano le ragazze?
Recensione a cura di GiorgioVillosio
Sarebbe davvero difficile definire con poche parole i temi dell'ultima opera di Pupi Avati, tanta è la materia narrativa. Il film, in effetti, tratta di amicizia, di amore, di rapporti parentali, e di vocazioni artistiche e professionali, con conseguenti ferite narcisistiche: in pratica della vita a tutto tondo, nella sua complessità e nella sua assoluta casualità, scandita come evento stocastico nell'eterno e impenetrabile moto degli astri e dell'universo. Non a caso, infatti, lo sviluppo della storia, raccontata con memoria fuori campo, si snoda in vari momenti contrassegnati dall'avvicinamento di una cometa ad un corpo celeste, contro il quale si scontrerà inevitabilmente: con metafora evidente della precarietà dell'esistenza e dell'ineluttabilità del destino. Di qui l'aura di malinconia che permea l'atmosfera del film, non coi toni della disperazione "esistenzialistica", ma con quelli più pacati di una nostalgia "romantica"; di quel pessimismo, che prova inevitabilmente l'homo sapiens quando prende coscienza del suo declino: non proprio in dirittura di arrivo... ma ormai all'ultima curva (chi ricorda Anacreonte: "della vita dolce non molto è il tempo che resta...?"). E giureremmo che proprio questo stato d'animo abbia indotto Pupi Avati ad un'opera molto riflessiva, probabilmente autobiografica, dove si avverte una sincera "compassione" per i personaggi e per le loro sofferenze; dove neppure chi trionfa, come nel caso del trombettista divenuto famoso, approfitta della debolezza altrui, sentendosene, per certi versi, addirittura responsabile.
Fulcro della narrazione l'amicizia tra due giovani musicisti, conosciutisi all'interno di un concorso, col confronto obbligato tra due vocazioni: una indotta forzosamente dal padre del sassofonista, a compensazione di frustrazioni personali, l'altra spontanea e genuina di un giovane suonatore di tromba, garagista,approdato alla musica per puro caso. Nel film, finisce per prevalere il talento vero, (se così fosse anche nelle vita reale!!!!!), con profonda ferita dell'amico ricco, perdente anche sul piano della rivalità amorosa. Un'amicizia, comunque, talmente profonda da non morire, suggellandosi alla fine, quando il talentuoso trombettista suonerà in un trionfale concerto la canzone scritta dall'amico; un ritratto di amicizia di nobilissimo respiro, che ci riporta idealmente ai casi classici di "Narciso e Boccadoro", o di "Achille e Patroclo". Altro elemento cardine la figura del padre (un formidabile Johnny Dorelli), alcolista frustrato, che vorrebbe il figlio vincente in vece sua, condizionandone tremendamente l'esistenza... (capita nelle "migliori" famiglie!).
E poi la storia d'amore, con la fascinosa Puccini, in bilico tra i due, ma con soave delicatezza di toni: la regia non fa vedere, non ostenta, non insiste sul piccante, ma allude e suggerisce con eleganti preterizioni. Come in effetti succede sovente nella vita, dove le coppie sono tormentate dai dubbi e si immalinconiscono; e dove la storia si snoda non tanto sul filo delle bugie quanto delle "mancate verità", con penitenze dolorose e intimi struggimenti.
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