Recensione million dollar baby
Recensione a cura di GiorgioVillosio
"Ognuno porta il suo Anchise sulle spalle" diceva sempre un caro amico, che mi leggerà lusingandosi per la espressa citazione (ciao, Angelo!).
In effetti non è facile liberarsi dai vincoli delle nostre origini, cui dobbiamo sì certe nostre fortune, ma pure un pesante fardello per l'intera esistenza. E questo vale non solo per i destini degli individui, ma pure a livello di paesi, nazioni, popoli, società e culture, vastamente intese. Da cui l'imprescindibile connotazione "originaria" anche dell'opera d'arte, che vive bensì all'interno di un autore come identità aliena, "altra da lui", (come avviene nelle psicosi), ma che non può non risentire dei condizionamenti culturali di base.
La premessa per introdurci all'esame non solo e non tanto di "Million Dollar Baby", quanto invece al personaggio Clint Eastwood nel suo complesso, che amo da sempre, per due motivi antitetici: da un canto l'aria maschia e fiera del cow-boy del western amato nell'infanzia, novello Gary Cooper, duro ma buono. Dall'altro, per il fatto di aver saputo riscattarsi da questo personaggio di maniera passando personalmente alla regia con vicende reali, e storie drammatiche, fortemente introspettive: meno inseguimenti in auto... e più psicologia! Tali meriti vanno indubbiamente riconosciuti anche al film in oggetto, Million Dollar Baby, osannato da tutta la critica come un vero capolavoro. E in effetti il delineare crudamente il destino di individui vessati dal caso, eternamente perdenti, rende la storia drammaticamente credibile, come pure l'amicizia tra Clint e il nero semicieco, cementata dalla pluriennale frequentazione e costellata di tragici eventi. Lo stesso, ancor più, va detto del personaggio femminile, astro nascente della box muliebre, novella Diana del mito, che cerca attraverso uno sport disumano il riscatto improbabile da tristi destini personali.
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