venerdì 18 novembre 2005

Recensione IN THE MOOD FOR LOVE

Recensione in the mood for love




Regia di Wong Kar-Wai con Maggie Cheung, Tony Leung Chiu Wai, Siu Ping-Lam, Rebecca Pan, Lai Chen

Recensione a cura di martina74 (voto: 10,0)

Spesso l'Oriente ci regala perle sublimi di cinematografia: è il caso di "In the mood for love", di Wong Kar Wai, esponente della nouvelle vague di Hong Kong. "In the mood for love", ovvero "nello stato d'animo per amare": questo il significato del titolo e questo il tema portante dell'intera narrazione. La storia è molto semplice, addirittura banale: siamo a Hong Kong, nel 1962, quando Chow (Tony Leung, Coppa Volpi al Festival di Venezia del 2000) si trasferisce in un modesto appartamento, accanto a Li-zhen (una splendida Maggie Cheung) e al marito.
Chow e Li-zhen si incontrano spesso, in maniera prima casuale, poi voluta e una sera scoprono che i loro rispettivi coniugi sono amanti. Inizia così il loro avvicinamento, fino al momento in cui i due comprendono di amarsi o, forse, prendono solo coscienza di un sentimento che già nasceva. Gli innamorati si lasciano addirittura andare a prove attoriali di confessione al marito di lei ma, con la partenza di Chow per Singapore, la loro relazione si interromperà per non riprendere più.

Scopriamo poco a poco che i due protagonisti, circondati da un'aura di tristezza, sono prigionieri di un'assenza: i loro sposi sono solo inquadrature parziali, voci al telefono, oggetti recapitati dai viaggi di lavoro. Gli oggetti sono infatti fondamentali nella poetica del regista: gli specchi in cui spesso si riflettono gli attori, le scarpe, il fumo delle sigarette, gli abiti. Ed è proprio a questi ultimi, ai raffinati qi pao indossati da Li-zhen che, nel film, viene conferito il ruolo di simbolica clessidra che scandisce il trascorrere di giorni, solo all'apparenza, tutti uguali.
Ma il cinema di Kar Wai è fatto anche di silenzi, di dialoghi semplicissimi, di cose non dette, o meglio già dette, di un'affinità la cui dimensione è conosciuta unicamente dai due innamorati e che ci viene svelata solo in parte, indirettamente.
Come degli insoddisfatti voyeur, veniamo volutamente esclusi dall'intimità dei due, che si elevano ad anime eteree ed estranee all'universo reale ed emotivo che li circonda. Non vediamo, ad esempio, tutto ciò che accade nella stanza 2046 (numero da cui prenderà il titolo il lavoro successivo del regista): ciò che ci viene mostrato è solo la frustrazione di due persone in cerca di vendetta e, al contempo, in lotta contro un sentimento che turba equilibri preesistenti, ancorché fragili. Eppure, dietro la porta chiusa, avvertiamo tutta la carnalità di questo amore incorporeo, doloroso e sospeso; non è importante che esso venga realmente consumato, perché l'emozione è tanto palpabile da andare oltre l'atto in sé.

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