Recensione manderlay
Recensione a cura di mirko nottoli
E' inutile. Inutile che in tanti ogni volta si sforzino di trovare parole di fuoco per demolire ogni film di Lars Von Trier. Inutile perché ogni suo nuovo film è una scoperta, un pugno nello stomaco, un concentrato di invenzioni visive, creative e intellettuali. Lars Von Trier non sta simpatico a molti e forse è per questo che sta simpatico a me.
Svogliato, furbo, sopravvalutato. Queste le accuse dei detrattori, accuse che a tendere l'orecchio fanno il tipico rumore delle unghie che tentano di arrampicarsi sugli specchi, come pagliuzze negli occhi che non vedono le travi, come montagne che partoriscono topolini. Prendendo per sola capziosità preconcetta abbagli a cui non credono nemmeno loro. Come si può altrimenti definire "svogliato e sopravvalutato" (Paolo Mereghetti) uno che in sequenza ti sforna "Le onde del destino", "Dancer in the dark" e "Dogville"? Come parlare di "formula vincente da riproporre in maniera ripetitiva e meccanica" (sempre Mereghetti) quando i tre film sopra citati non potrebbero essere più diversi l'uno dall'altro, tre capolavori che potrebbero appartenere alla filmografia di tre registi differenti, tre film sperimentali in cui la ricerca di nuovi linguaggi, di nuovi soluzioni registiche, lungi dall'essere sterili esercizi di stile risultano funzionali come pochi al racconto, amplificandone la portata dei contenuti già di per loro deflagranti?
Secondo capitolo della trilogia dedicata all'America, "Manderlay" è il proseguo di "Dogville". In fuga da là, dove poté sperimentare tutta la drammatica ipocrisia bigotta di una società perbenista e bacchettona, Grace (non più interpretata da Nicole Kidman ma da Bryce Dallas Howard, figlia di Ron) capita per caso in un altro paesino sperduto degli States dove ancora vige la schiavitù. Altra situazione delicata, altra situazione simbolica in cui il disegno generale è lucido e assiomatico come formule matematiche alla lavagna scritte con lo stesso gesso che qui traccia rettangoli e scritte sul palco nudo là dove ci si aspetterebbe case e oggetti scenografici.
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