Recensione visitor q
Recensione a cura di cash (voto: 8,0)
Miike è un regista da prendere con cautela. Di certo non avvicinabile a chicchessia, per apprezzare in pieno le sue opere è necessario non solo un forte stomaco, ma anche una mente piuttosto elastica.
Se è vero che Takashi non è un autore, nel senso lato del termine, è pur vero che ad osservare i suoi frammenti filmici isolati, e non come un continuo flusso in perenne evoluzione, ci si può anche fare del male.
Fortunatamente Dio (o chi ne fa le veci) ha munito le più scaltre delle sue creature con una delle sue più mirabili invenzioni: il senso del grottesco e dell'ironia. E pare che durante la visione dei film di Miike questi due meravigliosi strumenti siano richiesti a gran voce; ciò vale per la quasi totalità della sua sterminata filmografia, ma in particolar modo per "Visitor Q".
Perchè qui siamo oltre il concetto di Oltre (con la "O" maiuscola); non sembra di essere in presenza di un confine da oltrepassare, semplicemente pare non esserci traccia di questo confine. L'insano e il perverso diventano qui così familiari da apparire realmente come unica via da seguire.
Ma procediamo con ordine: nel 2001 il produttore di Miike lo inserisce come regista dell'ultimo dei sei film della serie "love cinema", prodotto esclusivamente per il mercato dell'home video. Le condizioni impostegli sono due: l'utilizzo del digitale e il trattamento dei valori familiari.
Nasce da qui l'idea di realizzare una sorta di ambiguo remake di "Teorema" di Pasolini ambientato in giappone e in epoca attuale. La cosa è già di per sè foriera di grandi speranze, giacchè si tratta in pratica di un regista malatissimo che si ispira ad uno malato già di suo; le aspettative non sono disilluse e Miike partorisce quello che è il suo figlio più indigesto e disturbante, e soprattutto per questo così affascinate - del resto si può restare affascinati anche dalla visione di una tarantola che sta per morderci -.
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