giovedì 31 gennaio 2013

Recensione FRANKENWEENIE

Recensione frankenweenie




Regia di Tim Burton con -

Recensione a cura di JackR

Victor Frankenstein vive con i genitori e l'amatissimo cane Sparky nella placida cittadina di New Holland. Appassionato di scienze e cinema, ma introverso e poco socievole, viene incoraggiato dal padre a praticare il baseball. Durante una partita, Sparky insegue una palla battuta da Victor ed è investito da un'automobile. Dopo una dimostrazione dell'effetto dell'elettricità sul sistema nervoso animale durante una lezione di scienze, Victor, disperato per la perdita di Sparky, decide di provare a resuscitarlo mettendo in pratica tutte le sue conoscenze scientifiche. Sparky torna effettivamente in vita, ma ben presto le cose si complicano: i vicini iniziano a sospettare qualcosa mentre i compagni di classe di Victor scoprono il geniale esperimento su Sparky e decidono di replicarlo, per vincere il concorso di scienze scolastici. Gli effetti sono catastrofici...

Tim Burton e John Lasseter condividono una parte singolare del loro cammino artistico: entrambi sono stati licenziati in tronco dalla Disney a metà degli anni ottanta, per le loro idee innovative e poco allineate. Mentre la Disney tentava di uscire dall'empasse di quel periodo, le voci fuori dal coro venivano epurate. Oggi Lasseter, le cui "idee malsane" hanno portato alla nascita della Pixar, è rientrato con il ruolo di Chief Creative Officer. A Tim Burton, che pure sembra aver superato gli anni migliori, sono affidati progetti importantissimi: il sequel/remake di "Alice in Wonderland" del 2010, e il prossimo "Maleficent", prequel live-action con Angelina Jolie sulla strega de "La Bella Addormentata". La cosa singolare è che il licenziamento di Burton fu dovuto ad un cortometraggio (live-action) in bianco e nero girato nel 1984 su un bambino (Barret Oliver, visto nel ruolo di Bastian ne "La Storia Infinita") che rianimava il suo cane deceduto, una rivisitazione sui generis di Frankenstein intitolata "Frankenweenie", che alla Disney fu ritenuta non appropriata per i bambini e un imperdonabile sperpero di capitali aziendali. A trent'anni di distanza, "Frankenweenie" è il nuovo lungometraggio, stavolta animato in stop-motion e in 3D, che Tim Burton dirige proprio per la Disney.

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martedì 29 gennaio 2013

Recensione IL VENTO DEL PERDONO

Recensione il vento del perdono




Regia di Lasse Hallström con Robert Redford, Jennifer Lopez, Morgan Freeman, Josh Lucas, Damian Lewis, Camryn Manheim, Becca Gardner, Lynda Boyd

Recensione a cura di Federica Ragnini AKA faith81 (voto: 8,0)

"Il vento del perdono" ("An unfinished life") è un film drammatico tratto dall'omonimo romanzo di Mark Spragg e diretto da Lasse Hallmstron nel 2005, celebre regista svedese ben due volte candidato premio Oscar come miglior regia con "La mia vita a quattro zampe" (1985) e "Le regole della casa del sidro" (1999).
I contenuti delle pellicole di Hallmstron sono sovente legati a temi profondi, talvolta estremamente dolorosi, come l'aborto, l'incesto, la malattia mentale, il pregiudizio, ma che vengono sviluppati con estrema sensibilità e cautela. La scelta degli attori non è mai casuale ma frutto di un attento studio, e per questo motivo svariati volti celebri si sono prestati a collaborare con questo regista; basti citare Leonardo Di Caprio, Johnny Depp, Julienne Binoche, Richard Gere, Charlize Theron e Michael Caine.
Questo film regala al pubblico una coppia nuova di zecca, Robert Redford e Morgan Freeman, i quali vivono tra le incontaminate e splendide alture del Wyoming, nella pace e nel silenzio assoluto, nella ricerca della verità e della pace interiore.

RITORNO A CASA

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lunedì 28 gennaio 2013

Recensione PAZZE DI ME

Recensione pazze di me




Regia di Fausto Brizzi con Mandelli, Loretta Goggi, Chiara Francini, Claudia Zanella, Marina Rocco, Valeria Bilello, Lucia Poli, Paola Minaccioni, Gioele Dix, Flavio Insinna, Alessandro Tiberi, Maurizio Micheli, Edy Angelillo, Pif

Recensione a cura di peucezia

Cosa accade a un uomo costretto a vivere in una tribù di donne un po' fuori di testa?
Questo è in grandi linee il leitmotiv dell'ultimo film di Fausto Brizzi, una patinata commedia con molti nomi di rilievo e, per protagonista maschile, il solito idiota Francesco Mandelli nel ruolo di Andrea, sfortunato visir all'incontrario.

Ispirato in grandi linee al film di Steno "Totò e le donne", dove un uomo di mezz'età raccontava le sue mille disavventure capitate a causa del gentil sesso, non meno misogino del primo film "Pazze di me" è in realtà una presa in giro su uomini e donne, stressati, sull'orlo di una crisi di nervi e incapaci di scelte efficaci.
La famiglia al femminile del protagonista Andrea è apparentemente "realizzata" ma al contempo è afflitta da insormontabili difetti: la madre è una ferrea amministratrice di condomini che comanda tutti a bacchetta; la sorella maggiore è una femminista convinta e avvince centinaia di donne con le sue conventions; un'altra, notaio a ventidue anni crede di essere perfetta, ma in realtà è pedante e capricciosa. Poi c'è la bionda finta classica oca giuliva che però riesce a essere professionale in campo lavorativo. Completano il quadro una badante poco collaborativa e una nonna ex docente di astrofisica e molto simile nell'aspetto trasandato alla ben nota Margherita Hack.

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venerdì 25 gennaio 2013

Recensione CLOUD ATLAS

Recensione cloud atlas




Regia di Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski con Tom Hanks, Hugo Weaving, Ben Whishaw, Halle Berry, Jim Sturgess, Susan Sarandon, Hugh Grant, Jim Broadbent, Keith David, James D'Arcy, Zhu Zhu, Götz Otto, Xun Zhou, Doona Bae, Alistair Petrie

Recensione a cura di JackR

1849: il viaggio di affari di Adam Ewing (Jim Sturgess) si trasforma in un incubo quando contrae uno strano morbo, le cure del medico sembrano non avere effetto e, durante il viaggio di ritorno, sulla nave spunta un misterioso clandestino...

1936: Il diario di Adam Ewing finisce tra le mani di Robert Frobisher (Ben Whishaw), giovane compositore omosessuale, che intrattiene un rapporto epistolare con il suo amante, Rufus Sixmith (James D'Arcy), al quale racconta la genesi della sua composizione, il sestetto "Atlante delle Nuvole", e il suo desiderio di suicidarsi una volta completata l'opera.

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giovedì 24 gennaio 2013

Recensione IN DARKNESS

Recensione in darkness




Regia di Agnieszka Holland con Robert Wieckiewicz, Benno Fürmann, Maria Schrader, Herbert Knaup, Agnieszka Grochowska

Recensione a cura di JackR

1941: Leopold Socha, ispettore fognario della città di Lwow (Leopoli), che arrotonda lo stipendio saccheggiando le case degli ebrei deportati, scopre un gruppo di ebrei che riesce a sfuggire al massacro nazista del ghetto della città nascondendosi nelle fogne. Socha offre le sue conoscenze logistiche (e il suo silenzio) in cambio di soldi, ma le cose ben presto si complicano e le scelte di Socha diventano sempre più difficili e pericolose...

E' ancora necessario girare un film sull'Olocausto? Probabilmente no, dal punto di vista storico e documentaristico: tutto è stato raccontato più volte e in vario modo. I protagonisti della seconda guerra mondiale fanno ormai parte di un pantheon cinematografico che trascende i generi: da "Il Grande Dittatore" a "I predatori dell'Arca Perduta", da "La Vita è Bella" a "Il Pianista" e " Inglourious Basterds". Oltre alla necessità di testimoniare e tramandare, c'entra sicuramente un'espiazione infinita che l'Occidente deve scontare nei confronti dell'Olocausto, c'entra l'enorme quantità di talenti ebrei prestati alle arti e in particolare al cinema (non solo in qualità di autori), c'entra la cultura americana che ha trovato nei Nazisti (storicamente veri o di fiction) i perfetti villain da quando è diventato scorretto politicamente dipingere come tali gli Indiani d'America.

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mercoledì 23 gennaio 2013

Recensione DJANGO UNCHAINED

Recensione django unchained




Regia di Quentin Tarantino con Jamie Foxx, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Christoph Waltz, James Remar, Kerry Washington, Michael Kenneth Williams, Don Johnson, Franco Nero

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 8,0)

Texas, Stati Uniti d'America, anno 1858. La guerra civile fra il Nord e il Sud non è ancora scoppiata e negli stati del sud la schiavitù è ancora legale.
Django (Jamie Foxx) è uno schiavo di colore, che è stato venduto dal proprietario della piantagione presso la quale lavorava, dopo aver tentato di fuggire insieme alla moglie Broomhilda (Kerry Washington). Il dottor King Schultz (Christoph Waltz), un cacciatore di taglie di origine tedesca, intercetta i negrieri che hanno comprato Django e lo acquista a sua volta. Il suo interesse per Django discende dal fatto che questi conosce i volti di tre ricercati cui Schultz sta dando la caccia. In cambio del suo aiuto, il bounty killer offre allo schiavo una ricompensa in denaro e la libertà. Questo è solo l'inizio del loro sodalizio. Django, debitamente istruito da Schultz e ormai uomo libero, diventa un bounty killer (o hunter, se lo si preferisce visto che questo è il termine usato nel film), ma il suo unico scopo è ritrovare sua moglie e liberarla. Schultz gli promette il proprio aiuto.

Quentin Tarantino trascina lo spettatore in un viaggio attraverso il sud degli Stati Uniti raccontando il mercimonio della carne umana con schiettezza e solidarietà senza rinunciare al proprio gusto per il cinema di genere, per l'intrattenimento spettacolare e per l'ironia feroce, mantenendo uno sguardo solo apparentemente distaccato.
"Django Unchained" si ispira agli Spaghetti Western degli anni sessanta e settanta. Dal film "Django" (1966) di Sergio Corbucci riprende il nome dell'eroe, i titoli di testa, il tema musicale composto da Bacalov e la sciarpa rossa che copre il volto di Zoe Bell. Inoltre, Tarantino ha affidato un cameo a Franco Nero in omaggio alla pellicola di Corbucci.
Fra gli altri riferimenti più evidenti ci sono il film "Mandingo" (1975)di Richard Fleischer, alcune pellicole di Howard Hawks e buona parte della filmografia di Sergio Leone, soprattutto, "Il Buono, il Brutto, il Cattivo".
Dal film di Fleischer Tarantino ha mutuato i combattimenti fra schiavi e, soprattutto, quelle che erano la vita e le relazioni fra schiavi e padroni e fra schiavi e schiavi nelle piantagioni del Missouri alla metà del 1800. Probabilmente è stato il personaggio di Warren Maxwell (James Mason) a suggerire l'incedere frenetico e claudicante di Stephen. Tuttavia, se in "Mandingo" si indugiava sui dettagli della vita quotidiana e della violenza nelle piantagioni, in "Django Unchained" tutto questo si dà per scontato ricorrendo a poche immagini che danno per presupposto tutto quel retaggio consuetudinario, che sta alla base degli equilibri e dell'esercizio della violenza, ed esso spesso è espresso attraverso alcune rapide spiegazioni che Django rivolge a un ignaro e disgustato Dr. Schultz.

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martedì 22 gennaio 2013

Recensione QUALCOSA NELL'ARIA

Recensione qualcosa nell'aria




Regia di Olivier Assayas con Clement Metayer, Felix Armand, Lola Creton, Dolores Chaplin, Nathanjohn Carter, India Menuez, Victoria Ley, Carole Combes, Mathias Renou

Recensione a cura di Mimmot

"Ho paura che sfugga la mia giovinezza"

Parigi, 9 febbraio 1971. Il fervore rivoluzionario dei ragazzi del "Maggio francese" è ormai solo un ricordo che comincia a sbiadire nel tempo. Ragazzi che avevano creduto veramente alla possibilità di scardinare il sistema, cambiare i rapporti tra gli uomini, le classi e i sessi, instaurare l'uguaglianza, la solidarietà, la pace; che avevano creduto che il male della terra non sarebbe esistito per sempre ma che poteva essere eliminato; che la malvagità dipendeva da una società sbagliata e che anzi era giunto il momento di eliminare dal mondo la catena dell'egoismo.

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venerdì 18 gennaio 2013

Recensione QUINTO POTERE

Recensione quinto potere




Regia di Sidney Lumet con Faye Dunaway, William Holden, Peter Finch, Robert Duvall, Wesley Addy, Beatrice Straight

Recensione a cura di Federica Ragnini AKA faith81 (voto: 10,0)

"La televisione non è la verità!"
Girato nel 1976 da Sidney Lumet, "Quinto Potere" rappresenta la più esaustiva e realistica descrizione delle dinamiche sociali, psicologiche ed economiche alla base del più potente mass media in cima alla vetta da oltre cinquanta anni: la televisione. Per la sua completezza di contenuti e dialoghi viene considerato dai cultori, sia del cinema che della comunicazione di massa, un eccellente prodotto cinematografico, grazie anche alla sua vincente minuziosità nel voler raccontare, in formula puramente realistica, le rigide e disumane regole del business mediatico, per giungere alla descrizione delle principali teorie della comunicazione di massa elaborate nei fervidi anni '70 (tra cui gli studi di Marshal McLuhan).
Vincitore di quattro premi Oscar, tra cui miglior sceneggiatura, mostra al pubblico come il concetto di strumentalizzazione delle emozioni, elaborato dai network americani, abbia ottenuto consensi e risultati mai raggiunti prima; siamo agli albori della Real Tv che cambierà radicalmente il concetto di programma televisivo. La storia di un uomo depresso e di un Network Televisivo in fallimento vengono documentati da una brillante sceneggiatura che rivela allo spettatore quel mondo nascosto dietro le telecamere, pronta a smascherare gli incantesimi mediatici che continuano a persuadere l'opinione pubblica in quanto, come diceva il professor O'Blivion: "La televisione è la realtà, e la realtà è meno della televisione" (Cit. "Videodrome" - 1983)

"Questa è la storia di Howard Beale"

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giovedì 17 gennaio 2013

Recensione VITA DI PI

Recensione vita di pi




Regia di Ang Lee con Suraj Sharma, Rafe Spall, Irrfan Khan, Gérard Depardieu, Tabu, Adil Hussain, Ayush Tandon

Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 (voto: 8,0)

Da qualche anno, tra i grandi autori del cinema contemporaneo, sembra essere tornato di moda il soggetto dell'indagine teologica. Raramente si è riusciti a produrre film compiuti sull'argomento soprattutto quando più che soffermarsi su questioni religiose, si è preferito spingersi su concetti escatologici o metafisici. Forse l'unico esempio di film capace di affrontare in modo esaustivo argomenti tanto spinosi è stato "2001 Odissea nello spazio" mentre ultimi esempi di cinema di genere li abbiamo avuti con "The Tree of life" di Terrence Malick o "The Fountain" di Aronofsky. Se Malick si interrogava più su questioni di morale, "The Fountain" cerca un punto d'unione della metafisica trascendentale con risultati non sempre all'altezza delle aspettative.
Yann Martel con il romanzo "Vita di Pi" è riuscito dove in molti hanno fallito, ovvero, depurando il suo romanzo da qualsiasi speculazione religiosa o di morale, ha scelto una storia semplicissima a valore altamente simbolico per provare a dare la risposta al quesito più vecchio del mondo: "Dio esiste?".

Vincitore premio Brooker Prize del 2002, adottato come libro di testo nelle scuole canadesi, "Vita di Pi" ha venduto circa 9 milioni di copie diventando uno dei più grandi best seller planetari degli ultimi anni.
Premesso che il libro di Yann Martel non entrerà nella storia della letteratura mondiale ma al massimo potrà ritagliarsi un posticino sugli scaffali di qualche libreria, Martel riesce a confezionare un dignitosissimo romanzo grazie ad alcuni felici intuizioni. "Vita di Pi" è un romanzo che si caratterizza per essere una perfetta fusione di storie già raccontante da autori come Edgar Allan Poe ("Storia di Arthur Gordon Pym") nonché di Moacyr Scliar in "Piccola guida per naufraghi con giaguaro e senza sestante" richiamato addirittura dall'autore nel testo dell'opera. Senza contare che le storie di naufragi né è piena la letteratura, da Robison Crusoe passando per i romanzi di Salgari, si può concludere che "Life of Pi" è una perfetta fusione di romanzi già scritti a cui vi si aggiunge però grande metafora esistenziale.
Martel, pur provando a suggerire più di quello che dice, rinuncia a qualsiasi speculazione su questioni di morale o di valore ma, tramite la semplicità della sua storia, riesce a presentare gli aspetti più duri della realtà e la speranza, che abbiamo tutti, che esista qualcosa di buono che ci guidi.

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martedì 15 gennaio 2013

Recensione THE MASTER

Recensione the master




Regia di Paul Thomas Anderson con Amy Adams, Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Laura Dern, Rami Malek

Recensione a cura di The Gaunt (voto: 7,5)

Stati uniti, 1950. Lancaster Dodd, un intellettuale carismatico, fondatore di un'organizzazione pseudo-religiosa denominata La Causa entra casualmente in contatto con Freddie Quell - giovane reduce della Seconda Guerra Mondiale, divenuto un vagabondo ubriacone e un disadattato – e lo prende sotto la sua ala protettrice. L'organizzazione intanto comincia a fare proselitismo e cresce numericamente.

"The Master" era senza dubbio uno dei pezzi forti dell'ultima Mostra del Cinema di Venezia. Arrivato al Lido praticamente all'ultimo momento e, pur non convincendo a fondo sia la critica che il pubblico, nonostante il generale apprezzamento, è riuscito a vincere il Leone d'argento per la migliore regia e la Coppa Volpi ad ex-aequo per entrambi i protagonisti: Philip Seymour Hoffmann e Joaquin Phoenix rispettivamente nei panni di Lancaster Dodd e Freddie Quell.

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lunedì 14 gennaio 2013

Recensione IL REGNO DELLE CARTE

Recensione il regno delle carte




Regia di Q con Tillotama Shome, Anubrata Basu, Immaduddin Shah

Recensione a cura di Stefano Santoli

"Il regno delle carte" è opera di un videoartista indiano, Kaushik Mukherjee (in arte Q): un'inventiva trasposizione che tende al musical di un'opera teatrale musicale di Rabindranath Tagore del 1933. Ma non è un musical in senso stretto, e soprattutto non è un musical girato secondo gli stilemi del cinema bollywoodiano.
Il sound elettronico del film che contraddistingue la pellicola è un fascinoso melting-pot (dub, ska, ritmi tradizionali indiani) prodotto fra gli altri dallo stesso regista, e arrangiato da svariati autori fra i quali spicca il gruppo inglese d'origine indiana degli Asian Dub Foundation.
La sceneggiatura è firmata dallo stesso regista insieme a Surojit Sen; il film è scritto in lingua bengali, la stessa lingua di Tagore. La storia narra di un principe che, dopo aver deciso di evadere con un amico dalla prigione dorata in cui vive lontano dal mondo, si imbatte, su di un'isola, in una società di soldati numerati come le carte da gioco, dove la libertà individuale è sconosciuta. I due intrusi sono processati e messi al bando, ma il principe sussurra a alcune Carte donna un messaggio di amore: sarà la scintilla di una liberazione rivoluzionaria.

La poetica di Tagore, premio Nobel nel 1913 (primo Nobel per la letteratura non occidentale), è incentrata su uno spiritualismo in cui sacro e profano, spirito e carne sono fusi insieme. La sua opera, che lui stesso tradusse in inglese, si accompagnò al suo impegno politico per l'indipendenza dell'India, e nello stesso tempo costituisce uno strumento di dialogo tra oriente e occidente. Comprensibile anche per la cultura occidentale e cristiana è il suo concetto di amore, che completa e realizza l'essere umano, e rompe il velo che divide l'umano dal divino.
L'essenza della poetica di Tagore è tutta espressa ne "Il regno delle carte", e ben trasposta sullo schermo da Q, che la fa propria.
Fra Tagore e noi ci sono di mezzo gli anni '60, e l'idea di una rivoluzione dell'amore come chiave di volta di una rivoluzione sociale - da lui anticipata di diversi decenni. Fra Tagore e noi c'è di mezzo, anche, l'inizio del processo di emancipazione femminile, che antropologicamente è forse il fenomeno più importante del XX secolo. Il ruolo della donna è centrale ne "Il regno delle carte". Per Tagore la donna è depositaria dell'energia vitale creativa e dispensatrice d'armonia. La prima delle carte a spogliarsi dei suoi abiti militari è Asso di cuori, una donna; altre donne la seguiranno.

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giovedì 10 gennaio 2013

Recensione INSTINCT - ISTINTO PRIMORDIALE

Recensione instinct - istinto primordiale




Regia di Jon Turteltaub con Maura Tierney, George Dzundza, Donald Sutherland, Cuba Gooding jr., Anthony Hopkins

Recensione a cura di Fulvio Baldini aka peter-ray (voto: 6,0)

Ethan Powell è un ricercatore naturalistico che vive con un branco di gorilla. A seguito di uno scontro con le forze armate viene catturato e accusato dell'omicidio di due guardie. Tuttavia viene rinchiuso nell' ospedale psichiatrico del carcere in quanto ritenuto insano di mente per via del suo atteggiamento 'animalesco'.
Il dottor Powell si muove come una scimmia e non parla con nessuno. Nella solitudine e nel silenzio di un mondo ormai estraneo, incontra l'ambizioso psichiatra Theo Caulder che, pur intenzionato ad aiutarlo, mira a fare il colpo grosso per la sua brillante carriera. Il duplice obiettivo che si pone è quello di riuscire a far parlare "l'uomo delle scimmie", facendosi raccontare la sua storia per scriverne un libro e, al contempo, riuscire a raccogliere elementi sufficienti per scagionarlo dalle accuse e restituirgli il suo posto nel mondo civilizzato.

Il tema naturalistico/antropologico affrontato in questo film non è nuovo. Abbiamo visto difatti l'eccellente interpretazione di Sigourney Weaver nei panni di Dian Fossey nel film biografico "Gorilla nella Nebbia", ma, per quante similitudini e stereotipi si possano riscontrare nello script, "Instinct - Istinto primordiale" non è una sceneggiatura originale; il film è un adattamento della novella filosofica "Ishmael" di Daniel Quinn.
In realtà, più che un vero adattamento, sembra che il libro sia stato solo fonte d'ispirazione per il regista. Nel romanzo la storia viene introdotta dal racconto di uno scrittore disilluso che in gioventù, nel mezzo della ribellione giovanile degli anni '60-'70, ambiva a voler salvare il mondo. Cercava un maestro, un guru, un saggio che gli potesse indicare la via. Rimasto deluso dall'esperienza, a distanza di vent'anni trova un annuncio:
"MAESTRO cerca allievo. Si richiede un sincero desiderio di salvare il mondo. Presentarsi di persona."
Stupito e anche amareggiato da questo annuncio, decide di andare solo per avere la conferma che si tratti dell'ennesimo cialtrone, ma scopre che il maestro è un vero e proprio gorilla. In principio rimane incredulo di ciò che vede, ma riesce fin da subito a stabilire la comunicazione con l'immane creatura, pertanto, Il gorilla, il maestro dell'annuncio, comincia a raccontargli la sua storia di prigionia e di come è nato in lui "l'individuo" Ishmael. In seguito lo scrittore accetterà di diventare allievo del gorilla che lo condurrà in un viaggio culturale che cambierà per sempre la sua vita.

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mercoledì 9 gennaio 2013

Recensione RALPH SPACCATUTTO

Recensione ralph spaccatutto




Regia di Rich Moore con -

Recensione a cura di JackR

Il lavoro di Ralph consiste nell'arrampicarsi sui palazzi provocando un gran numero di danni ed impedire che Felix Aggiustatutto riesca a raggiungerlo. Ralph è il cattivo di un classico arcade da sala giochi, "Felix Aggiustatutto", ultimo superstite insieme a "Pac-Man" degli arcade anni ottanta in una moderna sala giochi, insoddisfatto della propria condizione e desideroso di provare a se stesso ed agli altri personaggi di poter essere, almeno per una volta, l'eroe. Contro ogni regola del mondo dei videogiochi, Ralph abbandona il proprio gioco e va in cerca di gloria nello sparatutto in prima persona "Hero's Duty", innescando una serie di eventi che mettono a repentaglio tutti i personaggi e i giochi dell'arcade. Finito per caso nel mondo di "Sugar Rush" (un gioco di corse ambientato in un mondo fatto di dolci) Ralph conosce Vanelope, che vorrebbe correre ed avere anche lei la sua chance di essere protagonista. Il Re Candito, sovrano del mondo di "Sugar Rush", non ha alcuna intenzione di permetterle di gareggiare...

Accompagnato dall'incantevole cortometraggio "Paperman", "Ralph Spaccatutto" ("Wreck-It Ralph") continua la tradizione dell'animazione Disney, ma mai come questa volta un lungometraggio prodotto dagli studi di Burbank si allontana dal solco tracciato sin dal 1937 da Walt Disney con "Biancaneve e i Sette Nani". Pur essendo infatti un film decisamente riuscito sotto tutti i punti di vista, ciò che manca a "Ralph Spaccatutto" è l'essenza della magia Disney. L'ambientazione contemporanea, il tema tecnologico, l'uso della computer grafica e i riferimenti metacinematografici ne fanno infatti un film a metà tra Pixar e DreamWorks, che dalla prima eredita (oltre ad una innegabile analogia con il concept di "Toy Story") la volontà di narrare una storia autentica e la capacità di caratterizzare i personaggi principali, mentre dalla seconda la capacità di integrare nel film numerosi elementi della cultura popolare (in particolare, la cultura video ludica) ed un umorismo che ammicca più agli adulti che ai bambini.

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