lunedì 5 dicembre 2005

Recensione IL PADRINO PARTE II

Recensione il padrino parte ii




Regia di Francis Ford Coppola con Al Pacino, Robert De Niro, Diane Keaton, John Cazale, Robert Duvall, Talia Shire, Gastone Moschin, Sofia Coppola

Recensione a cura di Matteo Bordiga

Il più avvincente dei tre. Il "Padrino" più carico di azione, di avvenimenti che si rincorrono, di colpi di scena. Imperniato su una struttura a "montaggio alternato" (non nel senso "griffithiano" del termine, però), saltella continuamente fra la contemporaneità dell'ascesa al potere del maturo Michael Corleone, nuovo Padrino dopo la morte di Vito, e il passato remoto rappresentato dalla gioventù insanguinata dello stesso Vito Corleone, fuggito dalla Sicilia (destinazione Stati Uniti) dopo il massacro del padre, della madre e del fratello. I salti temporali, che ci consentono di seguire parallelamente le due vicende, permettono di apprezzare le analogie e le (poche) diversità riscontrabili nelle complesse personalità di Vito e di Michael Corleone. Padre e figlio, accomunati dalla ricerca di prestigio e denaro, inseguono il successo in due epoche diverse ma con identica "cattiveria". Tuttavia, sia nel caso di Vito che in quello di Michael il cinismo e la freddezza da gangster vengono "suggeriti", anzi in un certo senso imposti, da un evento traumatico che segna le loro esistenze: Vito, ancora picciotto, aveva dovuto sopportare l'assassinio del padre e del fratello, freddati per ordine del boss siciliano Don "Ciccio", e addirittura assistere all'esecuzione della madre, decisa a difendere a ogni costo il suo figlioletto. Michael, timido ed equilibrato, era stato invece sconvolto dal tentato omicidio del padre, molla in grado di scatenare in lui una reazione distruttiva (forse non sufficientemente approfondita dal punto di vista psicologico nel primo episodio) che trasformerà il suo distacco dagli affari di famiglia in ritrovata consapevolezza delle proprie origini e del proprio scopo: prima proteggere, poi vendicare il padre e, in seguito, raccoglierne degnamente l'eredità nella gestione del "Corleone enterprise".

In effetti, sia nell'epopea di Vito che (soprattutto ne "Il Padrino III") in quella di Michael lo spettatore "percepisce" il carattere sì spigoloso, ma non semplicisticamente malvagio, dei due. Mario Puzo, e con lui F. F. Coppola, non intendevano rappresentare una manichea dicotomia Bene vs. Male, ma piuttosto creare personaggi ambigui, capaci di confondere brutalità e tenerezza, di alternare comportamenti gelidamente assassini ad altri che lasciano intuire spiragli di umanità. Già nel primo episodio il vecchio Vito Corleone, nella riunione con i capi delle famiglie mafiose di New York e poi nell'intimo colloquio padre-figlio con Michael, appariva smussato, edulcorato, perfino stanco di una vita giocoforza trascorsa adifendersi (e a difendere la propria famiglia) dalle minacce del grilletto. Ne "Il Padrino II", il giovane Vito uccide il capo-quartiere Fanucci (magistrale e "colorata" l'interpretazione di Gastone Moschin) perché da lui ricattato, e il sospirato assassinio di Don "Ciccio" ha il sapore dolcissimo della tarda vendetta a sangue freddo. Non è dunque un personaggio banalmente spietato: non casuale, ovviamente, è la scena in cui si ritrova ad assistere impotente, con le lacrime agli occhi, al pianto disperato del piccolissimo figlio Fredo, disteso sul lettino e sofferente per una brutta polmonite.

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