giovedì 22 dicembre 2005

Recensione MEMORIE DI UNA GEISHA

Recensione memorie di una geisha




Regia di Rob Marshall con Ziyi Zhang, Ken Watanabe, Kôji Yakusho, Michelle Yeoh, Kaori Momoi, Youki Kudoh, Li Gong, Kenneth Tsang

Recensione a cura di martina74 (voto: 5,5)

Gei-sha, in giapponese, significa "persona d'arte": nel mondo nipponico, specialmente prima della seconda guerra mondiale ma anche in misura minore oggi, la geisha è un'icona misteriosa e irraggiungibile, con il viso nascosto da una maschera di trucco come nel teatro Kabuki, e avvolta nei molti metri di seta ricamata che compongono il kimono. La geisha rappresenta un ruolo femminile che nel mondo occidentale non riusciamo a capire appieno: distante e pudica (gli incontri sessuali non sono quasi mai contemplati nelle "prestazioni" dell'artista), addolcisce con la sua compagnia le cene e le cerimonie del tè, suonando, danzando e dispensando piccole perle di saggezza che devono servire a far sentire gli uomini al centro dell'attenzione. Si dice che per gli occidentali l'infanzia, pur giocosa, sia l'età della costrizione e delle regole e la maturità quella dell'autodeterminazione, mentre per i giapponesi sembra accadere il contrario: l'uomo adulto perde del tutto la dimensione ludica ma anche la libertà personale e si ritrova imprigionato in una rete di costrizioni e di rituali, che la geisha riesce in qualche modo a sciogliere con le sue seduzioni castissime: mostrando un polso mentre inclina la teiera, ridendo dietro il ventaglio, camminando con piccoli passi di bambina.
Questo aspetto esotico e non del tutto comprensibile della cultura del Sol Levante attira da molto tempo gli occidentali e, da Puccini in poi, molti artisti hanno tentato di raccontare quel mondo inaccessibile: Rob Marshall (prodotto da Steven Spielberg, che in un primo momento avrebbe voluto essere anche regista) è l'ultimo in ordine di tempo a provare la tentazione di sollevare il sipario su questo piccolo universo, e lo fa adattando per il cinema "Memorie di una geisha", il best seller di Arthur Golden.

La storia è quella di Chiyo, venduta dalla famiglia ad appena nove anni, assieme alla sorella, a una okiya, una scuola per geishe. Spesso accadeva che le famiglie povere vendessero le figlie per avviarle a questa attività, liberandosi di bocche da sfamare e garantendo loro, se non la libertà, almeno una fonte di guadagno.
Appena giunta all'okiya e separata dalla sorella, Chiyo attira le invidie di Hatsumomo (Gong Li), geisha affermata ma infelice, che già vede nella bambina una futura rivale. È proprio l'odio di Hatsumomo a far subire alla piccola i maltrattamenti della tenutaria della casa e a impedirle di seguire l'apprendistato per divenire maiko e poi geisha. Nel periodo in cui è costretta a fare la serva dell'okiya, Chiyo incontra l'uomo che diverrà l'unico amore della sua vita (Ken Watanabe) e, mentre la voce metallica di una radio ci informa degli avvenimenti che si succedono negli anni, la bambina sboccia in una splendida Zhang Ziyi e la famosa geisha Mamhea (Michelle Yeoh) la prende sotto la sua protezione e la addestra al ruolo di maiko, per contrastare l'influenza di Hatsumomo nei salotti di Kyoto.
Già al suo debutto la giovane, il cui nuovo nome è Sayuri, è protagonista di un enorme successo e in breve (con una cesura nella sceneggiatura che lascia alquanto perplessi) diviene una leggenda vivente, scatenando in modo definitivo l'odio e il desiderio di vendetta di Hatsumomo.
La seconda guerra mondiale pone però bruscamente fine alla tradizione millenaria delle "persone d'arte" e Sayuri è costretta a rifugiarsi in un luogo sperduto, da cui tornerà grazie all'insistenza del socio in affari dell'uomo amato, per fare da intermediaria nei rapporti con gli americani, che tentano di colonizzare economicamente il Paese. Il finale romantico lascia spazio alla speranza di un futuro per Sayuri, che rimarrà comunque sempre prigioniera della sua maschera teatrale e delle sue sete preziose, in un mondo sempre più sorpassato, in cui le icone tradizionali della femminilità sembrano fossili di un tempo destinato a non tornare.

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