Recensione roma citta' aperta
Recensione a cura di kowalsky
La verità è spesso scomoda: esiste ancora qualche illustre luminare o esperto - conscio di esporre una tesi impopolare e forse rafforzato (beato lui) dal proprio snobismo - che avanza delle riserve su uno dei massimi capolavori del cinema italiano, e per quanto folle possa sembrare se ne possono persino comprendere le ragioni.
Non è tanto che a qualcuno il neorealismo non va giù, ma è forse una questione di affinità empatica: può darsi che gli illustri intellettuali di cui parlo si oppongano alla grandezza emotiva del neo-realismo in quanto - a loro modo di vedere - ad esso corrisponde una versione troppo semplicistica e lirica dei fatti. Essi presumono che per confrontarsi con la razionalità sia necessario scendere a patti con l'irrazionale.
Forse, allora, hanno guardato superficialmente a questo film, che non può e non deve essere collocato in una realtà storica di ferite brucianti come il dopoguerra imminente, o dei romanzi di Vasco Pratolini o Mario Soldati, perché non è solo questo. Non è nemmeno riconducibile in toto al neorealismo classico, per varie ragioni, soprattutto perché questo film è, oltre che amaro, violentissimo.
E' la Pura Realtà, filtrata senza trucchi cinematografici o simbolismi castranti, ma a sua volta è un Simbolo (questo sì) di tutto ciò che un paese in guerra non è più in grado di combattere: fulcro della vicenda è un ragazzino, figlio di un tipografo impegnato nella Resistenza, che vive la sua esistenza fra i coetanei compagni di giochi e i genitori, e che vede a poco a poco spezzarsi tragicamente il legame familiare a seguito della deportazione del padre in Germania e dalla tragica fine della madre, Pina, mentre - in una sequenza di memorabile impatto - insegue Francesco, il suo uomo, tentando invano di ribellarsi al suo arresto.
La fatalità degli eventi brucia, ci lascia con un senso doloroso, più che perdita, di muta e rabbiosa rassegnazione. Davanti alle ceneri di un paese (una città?) mutilata e dilaniata da una guerra d'occupazione, lo sguardo freddo e crudele di un nazista segna l'inevitabile conflitto tra la forza dell'istinto e l'impossibile obiettività sul Male assoluto.
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