Recensione tomboy (2011)
Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 8,0)
"Tomboy" è la storia di una bambina quasi adolescente, Laure, che - a quanto ci è dato vedere per via del suo aspetto fisico (il film infatti è felicemente scevro da spiegazioni psicologiche) - si sente maschio e percepisce in modo assolutamente lineare e intimamente serio questa incipiente identità maschile, pur vivendola con la leggerezza di un gioco.
La sua famiglia si è da poco trasferita, sul finire dell'estate, in una nuova città. Laure non conosce quindi nessuno dei suoi nuovi compagni di giochi, che presto saranno suoi compagni di scuola, e ha la possibilità di farsi conoscere da loro come Mickaël. Ma l'inizio dell'anno scolastico incombe, la separazione tra la dimensione domestica e quella sociale dei giochi con i coetanei non potrà durare a lungo. Lo spettatore - in empatia con Laure sin dall'inizio - sa bene quanto sia precaria e costantemente minacciata questa dimensione felice. Ne scaturisce la velata patina "thrilling" che insaporisce il film e veicola più che altro un turbamento, quasi un'ansia - in perfetta assonanza con i sentimenti che leggiamo sul volto di Laure. E' l'adolescenza che bussa alla porta: il dover fare i conti sempre più da vicino con la dimensione adulta e le sue regole. Ma quella di Laure non è ancora, non è per nulla una ribellione: è solo la spontanea, naturale e fragilissima costruzione di un'identità. E il nostro turbamento, la nostra ansia di spettatori, scaturiscono dalla consapevolezza di quanto quel delicato processo sia troppo solitario, troppo minacciato.
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