Recensione il cavallo di torino
Recensione a cura di Mimmot
Il 3 gennaio 1889, uscendo dalla sua casa di via Carlo Alberto 6, a Torino, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche vide un cocchiere frustare a sangue il cavallo che trainava il suo carretto: "Tu, disumano massacratore di questo destriero" inveì il filosofo furibondo, abbracciando e baciando sconvolto l'animale. Da lì a pochi giorni Nietzsche sarebbe stato inghiottito da un gravissimo tracollo psichico che l'avrebbe accompagnato fino al giorno della morte.
Il film, rigorosamente in bianco e nero e praticamente privo di dialoghi, del regista ungherese Bela Tarr, prende spunto da quell'episodio per raccontarci non la storia degli ultimi anni di vita del grande filosofo (Tarr ovviamente non ci fa vedere Nictzsche che abbraccia il cavallo), ma quella, assolutamente sconosciuta, del destino del cavallo, dell'uomo che lo frustrava e della sua unica figlia. E lo fa con un'opera, se possibile, ancora più ermetica, minimalista, cupa e visionaria dei suoi precedenti lavori, che probabilmente, come hanno scritto alcuni, chiude una trilogia cominciata nel 1994 con il film fiume "Satantango" e proseguita nel 2000 con "Werckmeister armonia".
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