martedì 20 novembre 2007

Recensione UMBERTO D.

Recensione umberto d.




Regia di Vittorio De Sica con Carlo Battisti, Maria Pia Casilio, Lina Gennari, Memmo Carotenuto, Elena Rea

Recensione a cura di amterme63

Nel 1952, sale cinematografiche semideserte e autorevoli stroncature politiche decretarono l'insuccesso di "Umberto D", il film che Vittorio De Sica e Cesare Zavattini avevano voluto realizzare a ogni costo e che consideravano il loro capolavoro. Fu la fine del "neorealismo" e del grande cinema d'arte diretto da Vittorio De Sica.
La scommessa di alcuni grandi registi (Rossellini, Visconti, De Sica) di poter rappresentare la dura e triste realtà italiana del dopoguerra nella sua verità e umanità, senza infingimenti o abbellimenti, era definitivamente persa; al grande pubblico non piaceva questo tipo di film, in cui si trattava delle difficoltà materiali e sentimentali della povera gente senza ricorrere al comico, al romanzesco e all'avventuroso, semplicemente con la verità e la nudità dell'immagine. A niente era valso il clamoroso successo internazionale di questo tipo di cinema. Da allora in poi i grandi produttori e lo Stato avrebbero dato i soldi prevalentemente a film di intrattenimento con attori famosi.

Eppure De Sica e Zavattini ci avevano creduto fermamente nel cinema come forma d'arte e mezzo per migliorare l'animo umano; dopo il ventennio fascista non ne potevano più di retorica, cattivo gusto e scemenze. Il loro obiettivo era quello di raccontare "la verità, la pura verità, il coraggio di dire la verità" e avevano intrapreso il lavoro nel cinema come una specie di missione etica. Con De Sica dietro la cinepresa e Zavattini a scrivere la sceneggiatura si formava un duo molto affiatato e solidale.
Nel 1950 De Sica volle fare un regalo al suo amico/collaboratore portando sullo schermo, con "Miracolo a Milano", un racconto di Zavattini; quest'ultimo si sentì quindi in dovere di ricambiare l'amico. Prendendo spunto dalle vicende del padre di De Sica creò una storia incentrata sulla figura di un modesto pensionato statale, oppresso dalla povertà e dalla solitudine, mettendoci però tutto il suo desiderio di nobilitare i deboli e gli emarginati della società.
Così come aveva fatto con i bambini ("Sciuscià"), i disoccupati ("Ladri di biciclette) ed i barboni ("Miracolo a Milano"), Zavattini fa di un anziano pensionato un portatore di sentimenti e valori profondi e universali, un piccolo eroe del vivere quotidiano.

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