Recensione sguardo nel vuoto
Recensione a cura di Mimmot
Quando una persona, colta in un momento di particolare fragilità subisce, o viene indotta a subire, un accadimento di natura obiettivamente grave e stressante, si determina in essa un trauma psicologico che induce una disorganizzazione e una disgregazione del sistema nervoso, tale da compromettere le risorse che consentono di fronteggiare e gestire gli eventi negativi. Spesso questi eventi gravi, in grado di generare traumi psicologici, sono riconducibili a fattori prettamente soggettivi piuttosto che alle caratteristiche oggettive degli eventi stessi, pertanto la gravità non é insita nell'avvenimento quanto nell'interpretazione traumatizzante dello stesso che l'individuo ne fa.
In ogni caso questi accadimenti inducono nell'individuo un senso d'impotenza, di vulnerabilità, di intensa paura e alcuni disturbi specifici, come ad esempio le esperienze dissociative o la perdita della memoria.
Di ottundimento emotivo e di amnesia ricorrente soffre Chris Pratt, il protagonista del film "Sguardo nel vuoto", interessante opera prima di Scott Frank, che da sceneggiatore ha adattato per lo schermo i libri di Elmore Leonard ("Out of Sight" e "Get Shorty") e ha elaborato script difficili come 2Minority Report" e "The Interpreter.
Giovane campione scolastico dell'hockey su ghiaccio, nella squadra del liceo della sua cittadina del Midwest, Chris Pratt è un ragazzo che ha tutto dalla vita: è giovane, benestante, famoso e ammirato, inoltre è pure bello ed è fidanzato con la più ambita ragazza del liceo. Una notte, un po' per gioco e un po' (troppo) per incoscienza, mentre è alla guida della sua auto, ad un tratto spegne i fari della macchina per ammirare il cielo che scintilla della magica luminescenza di miriade di lucciole.
E' un attimo, poi un terribile schianto contro una maledetta falciatrice, e la vita per Chris cambia drammaticamente e non sarà più la stessa: lui se la cava per miracolo con un danno cerebrale, mentre due amici muoiono sul colpo e la sua ragazza porterà per sempre addosso le conseguenze del suo irresponsabile gesto (la vediamo nei suoi incubi ricorrenti con un arto artificiale).
Quattro anni dopo e una serie interminabile di sedute terapeutiche riabilitative, Chris non ha ancora rimosso il senso di colpa per quello che fatto, anche se non ricorda bene cosa, e soffre di persistenti vuoti di memoria, come se il suo cervello si rifiutasse di far riemergere i ricordi dalle nebbie dell'oblio, tanto da costringerlo ad appuntare tutto ciò che gli succede su un taccuino, associati a disfunzioni logiche e motorie, che gli rendono difficoltoso persino tenere in mano una lattina di birra. Condannato ad una vita da disabile, davanti a lui c'è come un muro invalicabile che gli impedisce di riprendere il controllo di sé e della sua vita, al punto di non riuscire a mettere in sequenza le azioni da compiere, e trovare le giuste coordinate delle attività, anche semplici, della routine quotidiana: non riesce ad usare bene la mano sinistra, deve etichettare tutti gli oggetti per ricordarne la funzionalità, dimentica gli avvenimenti pochi minuti dopo averli vissuti (per cui deve prendere nota di tutto su un taccuino), non riesce a capire se qualcuno sta tentando di imbrogliarlo approfittando del suo stato confusionale, ha difficoltà a relazionarsi con gli altri e a vivere la sua nuova ingenuità. Il tutto è aggravato da un contesto familiare piuttosto anaffettivo che si vergogna un po' del suo handicap, il quale, nel tentativo di minimizzare quanto successo, glielo ricorda continuamente, ogni giorno di più.
Per questo si allontana dalla famiglia e va a vivere in un piccolo appartamento, diviso con un altro "reduce" come lui, Lewis, un non vedente, conosciuto nel centro di riabilitazione, che ha perso la vista in un incidente sul lavoro.
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