Recensione the wet season
Recensione a cura di HollywoodUndead (voto: 10,0)
Poesia in 17 minuti questo magnifico ed epico corto di Martha Ferguson. Prima della visione è consigliabile chiudere gli occhi e lasciarsi abbandonare all'idea di non vivere più in un mondo normale. Si, perché il mondo descritto dalla Ferguson apparentemente sembra quello che viviamo tutti i giorni noi comuni mortali, invece si tratta di una realtà ben diversa, sembra addirittura di essere in una specie di spin-off di "1984" di George Orwell. Infatti la tentazione di iniziare l'analisi di questa pellicola con una bella citazione di Orwell è molto forte ma, così facendo, non si farebbe altro che confondere le idee a chi leggerà questa recensione. E poi ergeremmo questa pellicola su un podio che non le compete, invece è giusto (anzi doveroso) dire che, tra i suoi simili, "The Wet Season" è un cortometraggio indipendente perfetto in ogni suo aspetto e dettaglio.
La trama ci fa capire che si sta parlando di fantascienza pura: in un mondo dove è ASSOLUTAMENTE proibito piangere esiste un posto, quasi in clandestinità, che si chiama "Wet season", un luogo lugubre e desolato che è composto solo da due cabine dove la gente per qualche spicciolo ha due minuti per sfogarsi e per riuscire (finalmente) a piangere.
A guardia delle due cabine c'è Jocelyne, che "lavora" lì per conto dello zio. L'attenzione dell'intero corto è incentrata sulla sua figura, un'enigmatica ragazzina abituata al dolore altrui tanto da non riuscire a provare dolore per se stessa. Questo è l'aspetto drammatico della pellicola che mette in evidenza come l'abitudine agisca da anticorpo in ogni circostanza.
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