sabato 21 gennaio 2006

Recensione A HISTORY OF VIOLENCE

Recensione a history of violence




Regia di David Cronenberg con Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt, Ashton Holmes

Recensione a cura di cash

Prima o poi i traumi riaffiorano. Per quanto una persona possa ingannare se stessa e gli altri, i traumi riaffiorano. E son problemi. Cronenberg analizza il momento esatto della vita di un uomo apparentemente beatificato dall'american dream: ha una famiglia perfetta, una donna che lo ama come il primo giorno, due bimbi carini carini con cui ha un dialogo irreprensibile. E lavora in una tavola calda, una di quelle in cui la comunità del solito paesino provinciale (in cui pare che mai nulla debba accadere) si ritira a bere caffè e a mangiar torte ogni pomeriggio, aggiornandosi sul tranquillo tedio che compone le loro giornate. Ma in questa stessa tavola calda accade l'imprevisto, e con troppa e sospetta facilità il buon Viggo fa fuori due rapinatori "che fanno sul serio".
La vicenda innesca una bomba che detonerà con l'incontro di strani personaggi che sembrano perseguitare il punitore, cercando di attribuirgli un'identità che esso stesso nega con tutte le sue forze. A sproposito si è parlato di colpo di scena; ciò che potrebbe sembrare telefonato non lo è nella logica in cui non si dà come colpo di scena. La "rivelazione" è un semplice nucleo nella sinossi del film, per cui non sarebbe nemmeno opportuno parlare di spoiler. Cronenberg non vuol stupire nè con colpi di trama (semmai di trauma) nè con effetti speciali, grazie a Dio.
Il suo è un semplice excursus in un genere che non gli compete, ma le tematiche di fondo rimangono comunque le stesse; ha ragione chi ha parlato di un "Inseparabili" in solitario. Ed è proprio perchè è un genere che non gli compete che probabilmente gli è riuscito così bene; Cronenberg, come ogni autore che si rispetti, non cede alle lusinghe di un pulp a tutto spiano e mostra la violenza con il contagoccie. In fin dei conti, vista una testa saltata le hai viste tutte: e se è vero che le sequenze prettamente violente sono pochine, va anche detto che si tratta di puri momenti in cui l'efferatezza è diluita non poco.

Insomma, quando questo film è violento lo è per davvero, non si scherza. Anzi, non si scherza affatto; Cronenberg, che non è uno sprovveduto, ha capito che di fronte ad un film a carattere violento ci sono solo due strade da seguire: la strada dell'ironia e del sorriso che accompagna ogni zampillo di sangue o la completa austerità. Vie di mezzo non ce ne sono, o si fa un "Ichi the Killer" o si gira un "History of Violence". E la pellicola è cupa, malinconica, claustrofobica nella psicologia e senza uscita nel suo darsi come punto di non ritorno. E la violenza, come un virus, si propaga in fretta e attecchisce bene e facilmente; quando un ineludibile lato del carattere viene solleticato dalla circostanza non solo esplode, ma lo fa nel peggiore dei modi, si veda la profonda e radicale trasformazione del figlio.

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