Recensione il ritorno di cagliostro
Recensione a cura di Weezer
Dopo le molte polemiche per "Lo zio di Brooklyn" e una denuncia per vilipendio alla religione per "Totò che visse due volte", i palermitani Ciprì e Maresco tornano con la loro comicità graffiante, con toni molto meno polemici e un po' più leggeri dei precedenti e per seguire il film non sono questa volta necessari sottotitoli o la conoscenza del palermitano stretto.
Il film è strutturato come un finto documentario alla Zelig, con immagini d'epoca e spezzoni della Trinacria Film e l'intervento di critici e storici cinematografici come Tatti Sanguineti e Gregorio Napoli (che è anche l'autore del ritrovamento del film).
Il primo riferimento, ma non l'unico, che ci viene in mente è un'opera di Peter Jackson "Forgotten Silver", anch'esso un finto documentario di un regista che aveva rinnovato il cinema con l'introduzione del colore e di altri ritrovati, ma poi era entrato nel dimenticatoio.
Tutto il film è pervaso da un certo senso di decadenza, anche grazie ai personaggi secondari con i volti deformi e grotteschi e tic nervosi, praticamente tutta la fauna che siamo abituati a vedere nei filmati di cinico tv, tutti attori presi dalla strada e che trovano difficoltà a parlare o a esprimersi in italiano.
Anche in questo caso i ruoli delle donne, tranne qualche rara eccezione, sono interpretati da uomini, che non hanno niente di femminile ma addirittura portano barbe lunghe.
Gli attori principali Luigi Maria Burruano e Franco Scaldati (che interpretano i fratelli La Marca) si trovano a loro agio nella parte dei due cineasti, come Robert Englund (il protagonista di "Nightmare") che si presta con grande auto-ironia alla farsa del mito hollywoodiano.
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