Recensione la stanza del figlio
Recensione a cura di Giordano Biagio
Il film vincitore a Cannes nel 2001 è incentrato sulla ricerca del senso e della dinamica del dolore in un lutto.
La famiglia Sermonti perdendo il giovane Andrea, in un infortunio di pesca subacquea, piomba in una crisi che sconvolge i normali ritmi della loro vita.
Il loro era un quotidiano che scorreva tra molte soddisfazioni e qualche piccola amarezza. L'elaborazione del lutto, dopo la tragica morte del figlio, tende a dare un significato all'angoscia, creando un modo di ricordare lo scomparso funzionale al vivere presente. Un meccanismo teso a richiamare visivamente qualcosa dell'inconscio che permetta di proseguire la vita rimanendo nel flusso di un dinamismo psichico e culturale legato alla cultura che ci contiene.
Il padre Giovanni Sermonti è uno psicanalista. Dopo la tragedia, lungo l'elaborazione del lutto con la moglie avverte che il suo lavoro non potrà più proseguire con profitto. Pensa che certi risultati psicanalitici raggiunti con la sua attività non potranno più ripetersi, perché compromessi dalla sua nuova situazione emotiva.
I risultati che i pazienti ottenevano nell'analisi erano in gran parte legati, seppur in modo paradossale, alla sua figura di borghese dall'aria soddisfatta.
Figura che seduceva i pazienti portandoli a forme transferenziali e di identificazione proficui sia nel mantenere il gioco di parole con l'analista che nella riuscita elaborativa di alcune questioni analitiche.
Dopo la tragedia il suo stato depressivo, seppur ricco di risvolti creativi e fertile di idee, lo costringe a modificare l'approccio psicologico con i pazienti fino al punto di ridurlo a forme di comunicazione verbale troppo dirette, quasi forzate e notevolmente giudicanti, moraliste. Irrompe nelle sedute la propria nuova situazione esistenziale. Sembra quasi che adesso sia lui a chiedere qualcosa ai pazienti. Questo porta alcune analisi in corso verso una deriva psichica a tratti angosciante e priva di sbocchi terapeutici efficaci.
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