Recensione furyo
Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 9,0)
"[Il fascista] si è costruito o fatto costruire – tramite la disciplina,
l'addestramento, esercizi fisici – un Io esteriorizzato che si presenta come una "corazza".
Tale armatura trattiene nell'interiorità, a cui il fascista non ha accesso, tutte le sue pulsioni, le sue funzioni desideranti (...). Ma questo Io-corazza non è mai perfettamente ermetico, anzi è fragile; resiste solo grazie ad aiuti esterni: la scuola, l'esercito o persino il carcere.
Nei momenti di crisi si frantuma, e il fascista rischia di essere travolto dalle sue stesse produzioni desideranti incontrollabili"
Jonathan Littell, "Il secco e l'umido", Einaudi, 2009, p. 20
"Furyo" è un film del 1983 di Naghisa Oshima, tra i sommi maestri del cinema giapponese, attivo sin dalla fine degli anni '50, e le cui opere giovanili più iconoclaste e rivoluzionarie sono purtroppo poco note al pubblico italiano, soprattutto perché difficili da reperire. Quello di Oshima nasce come un cinema di rivolta, che si chiude progressivamente in una successiva disillusione. "Furyo" appartiene all'inizio di questa seconda fase.
La sua riflessione sulla realtà giapponese si concentra sulla sua essenza autoritaria e imperialistica, e su come essa si coniughi a soggettive pulsioni di desiderio, a ricorrenti fantasmi di morte, "e più ancora suicidi che omicidi, nella convinzione progrediente di una consonanza tra queste pulsioni e quelle profonde e autentiche della cultura giapponese".
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