Recensione synecdoche, new york
Recensione a cura di maxpayne230
L'autore teatrale Caden Cotard vive la sua vita intrappolato in un matrimonio in rovina e la sua psicosi.
Mentre sul suo corpo cominciano ad apparire i sintomi di una rara e misteriosa malattia, la moglie, aspirante artista, fugge a Berlino con la figlia. Distrutto e depresso, Caden vince un prestigioso premio teatrale che gli permette di ottenere una cospicua somma di denaro, con la quale decide di affittare un enorme magazzino al centro di New York, in cui ricreare in scala 1:1 la città stessa, con l'intenzione di allestire il più bel spettacolo della sua vita, sulla sua vita.
È corretto pensare a "Synecdoche, New York" come al raggiungimento massimo della carriera di Charlie Kaufman, l'apice dell'espressione del suo immaginario che ha cercato di trasmettere in pellicole quali "Essere John Malkovich", "Il Ladro Di Orchidee" e "Se Mi Lasci, Ti Cancello". Più che immaginario, l'immagine di infinita tristezza e sfortuna del tipico uomo "normale" che per uno strano scherzo del destino, ottiene la possibilità di ribaltare la propria sorte.
E questo film non fa eccezione. Fin dai primissimi minuti siamo catapultati nella vita quotidiana di Caden Cotard (attenti al cognome: è la malattia del malato che si crede cadavere), autore teatrale con moglie fuggiasca e figlia defecatrice di strani liquami, una vita installata in un mondo surreale, dove la realtà della televisione e dei giornali si mischia con la fantasia del protagonista, come a voler testimoniare un tentativo di poter plasmare a proprio favore il proprio mondo, di poter essere visto da tutti, di poter far pena a chiunque e comunque. E nonostante la tristezza della vita, Caden sprofonda ancora più in basso. Il suo corpo comincia a essere vittima di sintomi rari e unusuali, quali la perdita delle lacrime (pretesto per dare vita a una delle scene più belle del film) e tremori agli arti. E come ogni persona che testimonia la propria vita scivolare via, Caden comincia a esaminarla come una delle sue commedie teatrali.
Tutte le persone che conosce, le frasi ascoltate, i gesti osservati vengono tutti quanti rinchiusi in una sceneggiatura, in un enorme magazzino, al cui interno un altro Caden Cotard sta creando un'altra New York in scala 1:1 all'interno di un enorme magazzino, all'interno del quale un altro Caden Cotard sta creando un'altra New York in scala 1:1 all'interno di un altro enorme magazzino e così via, finchè la vita gliene darà la possibilità, e così via fino a una totale psicosi ossessiva alla ricerca di cosa è andato storto, cosa poteva accadere e cosa accadrà nella sua esistenza e nelle vite delle persone intorno a lui. E come prevedibile ben presto viene persa la linea tra reale e fantasia. Ma troveremo sempre qualche momento di divertimento, strano a dirsi. Kaufman unisce tragedia e comicità in parecchie sequenze, molto più crudeli dell'universo Fantozziano, molto più divertenti dei dialoghi pazzeschi tra Craig Schwartz e il capo ultracentenario.
Dimostrandoci che della vita si può ridere di molte cose. Basta solo stare attenti ai suoi colpi bassi.
E avere il giusto umorismo, ovviamente.
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