martedì 31 agosto 2010

Recensione VENERDI' 13 (1980)

Recensione venerdi' 13 (1980)




Regia di Sean S. Cunningham con Betsy Palmer, Adrienne King, Harry Crosby, Laurie Bartram, Jeannine Taylor,Kevin Bacon, Ari Lehman

Recensione a cura di FrancescoManca (voto: 8,0)

Esattamente come "L'esorcista", "Halloween", "Shining" e il successivo "Nightmare", anche "Venerdì 13" può essere annoverato tra le più significative pellicole che hanno rivoluzionato il genere horror a cavallo tra gli anni '70 e '80, oltre ad essere uno dei titoli di riferimento per i sottogeneri slasher e splatter.

Alla sua uscita nelle sale nel 1980 il film, diretto da Sean S. Cunningham e scritto da Victor Miller, riscosse un notevole successo di pubblico nonostante la critica, come spesso accade in questi casi, lo stroncò di netto giudicandolo una delle ‘cose' peggiori mai prodotte sino ad allora.
Tuttavia, al di là di tutti i pareri contrastanti e poco entusiastici che ne derivarono all'epoca, è innegabile che questo primo capitolo di una delle più prolifiche saghe horror della storia abbia influito non poco sull'immaginario collettivo degli spettatori americani e non, consentendo alle due figure portanti della storia, ovvero Jason e Pamela Voorhees, di guadagnarsi un posto di rilievo tra i più carismatici e inossidabili cattivi del cinema horror.
Se visto con la mentalità e l'ottica di oggi, non è difficile accorgersi che il plot e la sceneggiatura del film non godono certo di una grande originalità nei contenuti, dal momento che i protagonisti, le situazioni e l'ambientazione fanno indubbiamente parte dei clichè e degli stereotipi che verranno in seguito abusati fino allo stremo in qualsiasi teen-horror moderno, risultando, tuttavia, per l'epoca relativamente innovativi.

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lunedì 30 agosto 2010

Recensione GIUSTIZIA PRIVATA

Recensione giustizia privata




Regia di F. Gary Gray con Gerard Butler, Leslie Bibb, Jamie Foxx, Colm Meaney, Bruce McGill, Viola Davis, Regina Hall, Michael Kelly, Josh Stewart, Gregory Itzin

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 6,5)

"È inutile opporsi al destino".

Parole dure ed inesorabili quelle pronunciate da Clarence Darby (Christian Stolte).

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Recensione 1997 FUGA DA NEW YORK

Recensione 1997 fuga da new york




Regia di John Carpenter con Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Donald Pleasence, Isaac Hayes, Season Hubley

Recensione a cura di The Gaunt (voto: 10,0)

John Carpenter, dopo l'exploit di critica e pubblico ottenuto con "Halloween" ed il più che lusinghiero successo di "Fog" (sicuramente l'escursione più vicina al gotico classico del regista americano), ha in mente il progetto del remake de "La cosa da un altro mondo" di Nyby, che verrà momentaneamente accantonato per lasciare il posto ad un nuovo progetto con la AVCO Embassy intitolato "Escape from New York".
Per il regista è l'occasione per rispolverare una vecchia sceneggiatura del 1975, scritta in un momento dove le istituzioni americane attraversavano il periodo di crisi più profonda: si cominciavano a leccare le ferite del dopo Vietnam, lo scandalo del Watergate, le dimissioni di Richard Nixon. Una reazione a catena che aveva portato ad una profonda sfiducia del popolo americano verso le istituzioni che lo governavano. Da aggiungere inoltre che per Carpenter è un modo per riannodare i fili ed espandere ulteriormente le tematiche di "Assault on precint 13", in cui il problema del degrado urbano di molte zone delle grandi città metropolitane degli Stati Uniti era più che una sensazione tangibile, era una realtà drammatica.
Realtà drammatica composta da cifre che indicavano un aumento sensibile del tasso di criminalità in tutto il paese (un esempio eclatante gli stupri, praticamente raddoppiati all'inizio degli anni '80), specialmente nelle zone metropolitane le quali, in aggiunta, soffrivano di una calo considerevole della popolazione che si spostava al di fuori delle città. Bisogna tenere conto anche degli abbassamenti dei redditi delle famiglie (quelle di etnia nera in particolare) e i notevoli tagli alla spesa pubblica con conseguente abbassamento della qualità dei servizi ai cittadini.

"Once you go in, you don't come out"

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venerdì 27 agosto 2010

Recensione INDOVINA CHI SPOSA SALLY

Recensione indovina chi sposa sally




Regia di Stephen Burke con Sally Hawkins, Tom Riley, Tina Kellegher, Phina Oruche, Stanley Townsend, Michael McElhatton, Simon Delaney, Ger Ryan, Tomas O'Suilleabhain, David Pearse, Elaine Murphy

Recensione a cura di JackR

Freddie (Tom Riley) e Sophie stanno per sposarsi per la seconda volta; Sally (Sally Hawkins) e Wilson stanno combinando un matrimonio di interesse, lei per soldi, lui perché il matrimonio gli garantirebbe il visto per non essere espulso dall'Irlanda.
I due ricevimenti si tengono nello stesso luogo e, tra equivoci e maldestri agenti dell'immigrazione, niente va secondo i piani, ma forse non è un male per nessuno...

Una nota all'adattamento italiano: dopo aver sbagliato il doppiaggio della Hawkins rendendo il personaggio addirittura più insopportabile di quanto non risultasse dalla sceneggiatura, si è deciso di cambiarne il nome da Maura a Sally sfruttando il nome dell'attrice per ovvie ragioni di marketing: il titolo originale, "Happy ever afters", diventa "Indovina chi sposa Sally" (senza punto interrogativo, tanto si capisce dal trailer come finisce; forse è da pronunciare in tono ironico e rassegnato), rimandando per metrica e parole all'archetipo delle commedie romantiche moderne, quell'irraggiungibile "Harry ti presento Sally" che continua a generare cloni deformi come questo, ma anche all'archetipo di quelle classiche, ovvero "Indovina chi viene a cena".

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Recensione LEGAMI!

Recensione legami!




Regia di Pedro Almodovar con Victoria Abril, Antonio Banderas, Loles León, Julieta Serrano, Maria Barranco, Rossy de Palma, Francisco Rabal

Recensione a cura di FrancescoManca (voto: 7,5)

Il titolo dell'ottavo film di Pedro Almodóvar potrebbe, a primo impatto, far alludere lo spettatore privo di cognizioni di causa alla pratica del sadomasochismo, e le cause di ciò non sarebbero neanche così irragionevoli, dal momento che, soprattutto nelle sue prime fatiche registiche, il buon Pedrito ci ha più volte mostrato cosa – e fin dove – la natura umana (etero od omosessuale che sia) sia disposta a spingersi al fine di appagare i propri desideri di natura carnale.
Ma, purtroppo o per fortuna, non è questo il caso, visto che il tema predominante in "Légami!" è l'amore, trasposto in celluloide con tutte le stravaganze e le contraddizioni che si possono riscontrare in tutta la filmografia del cineasta iberico.

Protagonisti assoluti della storia sono un uomo e una donna, tali Marina e Ricky. Lei è un'affascinante e nevrotica attrice cinematografica con un passato da pornostar e da tossicodipendente, lui è un giovane disadattato appena uscito da una casa di cura, dove ha trascorso gran parte della sua vita.
Appena reinseritosi nella società, Ricky ha come unico obiettivo quello di raggiungere Marina, conosciuta un anno prima in una discoteca e con la quale ha passato una notte d'amore. Giunto sino al suo appartamento, Ricky si vede costretto a sequestrare Marina legandola al letto, dal momento che quest'ultima non si ricorda minimamente della notte passata assieme a lui e non si dimostra disposta a condividere i sentimenti del giovane nei suoi confronti.
L'intenzione di Ricky è quella di tenere 'prigioniera' la sua amata fin quando essa non si innamorerà di lui...

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giovedì 26 agosto 2010

Recensione LA BANDA DEL BRASILIANO

Recensione la banda del brasiliano




Regia di John Snellinberg con Carlo Monni, Luke Tahiti, Luca Spanò, Gabriele Pini, Alberto Innocenti, Massimo Blaco, Luigi Milo

Recensione a cura di pompiere (voto: 8,0)

Vaiano, comune in provincia di Prato. Paese di diecimila anime che ha dato i natali a Fiorenzo Magni, uno dei pochi ciclisti in grado di rivaleggiare con Coppi e Bartali. Un "vecchio" come non ce ne stanno più, esponente di una generazione che qualcuno considera ancora sana e di imbattibile caratura morale.

La pensano così gli autori de "La banda del brasiliano", film che ricorda da subito i classici "poliziotteschi" degli anni '70, dato il poster in bella vista di "Roma violenta" con Maurizio Merli, e quelli di altri film di Castellari, Fulci, Lenzi. Grazie ai movimenti nervosi della macchina a mano e alle gradevolissime musiche originali con tanto uso di basso, chitarra elettrica, sax e tromba, votate spesso a ritmi sincopati, i volti da "kriminali", rappresentanti di una generazione allo sbando senza riferimenti economici stabili, danno un senso al valore culturale in cui avevano creduto quando erano giovani, quando correvano con i go-kart, si baloccavano con i filmini super 8 e tiravano tardi al night.

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mercoledì 25 agosto 2010

Recensione DERSU UZALA

Recensione dersu uzala




Regia di Akira Kurosawa con Juri Solomin, Maksim Munzuk

Recensione a cura di amterme63 (voto: 10,0)

Nell'immaginario collettivo la parola Siberia evoca l'immagine di una landa disabitata, ostile ed inospitale. Soprattutto è sinonimo di luogo dannato e terribile, dove finivano i perseguitati politici o i malviventi, senza più fare ritorno. Eppure per qualcuno la Siberia ha rappresentato la rinascita, il ritorno alla fiducia nell'attività umana e nel valore della vita. Quel qualcuno non è altri che il regista Akira Kurosawa.

Essere artisti onorati e famosi, autori di splendide opere d'arte, non significa poi più di tanto nell'ambiente cinematografico. Se per caso un regista famoso incappa in un insuccesso, allora tutto il mondo gli si rivolta contro, gli si crea il vuoto intorno, nessuno vuole più rischiare soldi per qualcuno considerato in decadenza o "perdente". Ed è quello che successe a Kurosawa nel 1970, all'indomani del grande insuccesso del film "Dodes'ka Den", su cui aveva investito in pratica tutti i suoi averi e le sue mire artistiche.

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martedì 24 agosto 2010

Recensione SPLICE

Recensione splice




Regia di Vincenzo Natali con Adrien Brody, Sarah Polley, Delphine Chanéac, Abigail Chu, Brandon McGibbon

Recensione a cura di pompiere (voto: 6,0)

Ginger Rogers e Fred Astaire sono stati due maestri del ballo. Clive Nicoll ed Elsa Cast (Adrien Brody e Sarah Polley), sono due avidi e ostinati maestri dello splicing, l'unione di parti di DNA presi da organismi differenti. Gli scienziati hanno tra di loro un legame sentimentale. Clive è un uomo che difficilmente dice di no, e lei (sopraffatta dall'odio e dall'avversione per la figura della madre) è tanto riluttante all'idea di avere dei figli veri, quanto intraprendente e risoluta nello sperimentare il complicato concepimento in vitro di un feto misterioso che sembra un bulbo atipico, scisso in due parti uguali ma di sesso opposto, chiamate appunto Ginger e Fred.
L'embrione ricavato con un esperimento parallelo grazie all'introduzione di cellule umane viene al mondo, e ha sembianze un po' bizzarre. La testa è quella di un coniglio spellato, e saltella come un cangurino con le zampe di gallina. Elsa riversa su di lui tutto l'amore negato alle altre creature umane, idealizza l'opera come fosse qualcosa di più di un animale domestico, e lo tratta come un vero e proprio frutto del suo grembo.

Il copione, intanto, espande la già esasperata componente nevrotica e sciocca dei due poveri amanti, in preda a vere e proprie "follie d'inverno", visto che fuori è tutto innevato. Poi ci mette al corrente che il "lui" è in realtà una "lei" a cui viene dato il nome di Dren, ovvero la scritta al contrario di N.E.R.D. Quest'ultimo è l'acronimo del centro di ricerca presso il quale lavorano gli studiosi, ma anche la prima parola che l'esemplare, già bambina, compone (segnale primitivo di intelligenza) con le lettere dello Scarabeo, e ha, come sappiamo, il classico significato di inetto, sfigato (che l'autore abbia voluto dirci qualcosa?).

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Recensione XXX

Recensione xxx




Regia di Rob Cohen con Vin Diesel, Samuel L. Jackson, Marton Csokas, Asia Argento

Recensione a cura di FrancescoManca (voto: 7,0)

Xander Cage è un fanatico degli sport estremi che, dopo aver compiuto l'ennesima bravata gettandosi da un ponte con una Corvette (rubata) e con la polizia alle calcagna, viene reclutato dall'agenzia della sicurezza nazionale americana che, in seguito alla morte di un loro agente, intende spedirlo a Praga, nell'Europa dell'est, al fine di infiltrarsi e raccogliere informazioni su una potente organizzazione criminale denominata 'Anarchia 99', intenzionata a creare una micidiale arma biologica che potrebbe distruggere il mondo intero.

La minestra è sempre la stessa: c'è il macho che deve salvare il mondo per salvare se stesso, c'è la pupa che gli va dietro perché vuole salvarsi anche lei, c'è il cattivone megalomane che vuole distruggere il mondo e ci sono le annesse e connesse esplosioni e sparatorie seguite da calci, testate e pugni in faccia. È chiaro che ci troviamo di fronte ad uno degli action-movie più grossolani che si siano mai visti in questo decennio, ma è del tutto inutile, in questo caso, fare i perbenisti: chi ama il cinema impegnato di Kim Ki-Duk e Wong Kar-Wai, dovrebbe evitare di vedere "xXx", dal momento che sa in anticipo che ciò che vedrà non è altro che una sequela di scene frenetiche con le esplosioni e le sparatorie sopraccitate che si susseguono ogni dieci secondi e anche meno.

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lunedì 23 agosto 2010

Recensione PANDORUM - L'UNIVERSO PARALLELO

Recensione pandorum - l'universo parallelo




Regia di Christian Alvart con Ben Foster, Dennis Quaid, Cam Gigandet, Antje Traue, Cung Le, Eddie Rouse, Delphine Chuillot, Norman Reedus, Wotan Wilke Möhring, Yangzom Brauen, Niels-Bruno Schmidt

Recensione a cura di Giordano Biagio

Due astronauti, il tenente Payton (Dennis Quaid) e il caporale Bower (Ben Foster) si ridestano, stupiti, da un lungo iper sonno a bordo di un'astronave che sembra deserta; si sentono subito spaesati e perduti, nell'ambiente in cui si trovano domina un'atmosfera tenebrosa, l'unico segno, che sembra in qualche modo far presagire la presenza di altro, è un suono dal rumore strano, sinistro, che sembra provenire da una parte non ben identificata dell'astronave.
I due uomini, del loro passato non ricordano assolutamente nulla, né sanno dove erano prima né quale possa essere la meta della loro missione.
Guidato per mezzo di una radiotrasmittente dal Tenente Payton, il caporale Bower si avventura all'interno dell'astronave e gradualmente scopre una realtà spaventosa: la presenza di esseri umanoidi decisi più che mai ad ucciderli, mostri affetti dal sintomo psicotico denominato Pandorum, una gravissima malattia psichiatrica che si forma nella fase del prolungamento dell'iper sonno - una tecnica di mantenimento delle funzioni vitali dell'organismo al minimo necessario per più di cento anni, indispensabile per raggiungere pianeti simili alla Terra legati per gravitazione ad altre stelle affini al sole - oltre i limiti temporali ammessi. La malattia produce pulsioni omicide immotivate che dopo il delitto lasciano il soggetto criminale indifferente, privo di ogni senso di colpa; in coloro che ne sono affetti esistono sintomi plurimi, come paranoie, allucinazioni, fobie che tendono a scaricarsi violentemente verso ogni sostanza umanoide che è in qualche modo diversa dalla loro e un po' meno comprensibile.
I quattro astronauti lotteranno per sopravvivere e per sfuggire agli esseri-mostri intenzionati a distruggerli, ma riusciranno a sbarcare sul nuovo pianeta iniziando una vita nuova per la specie umana?

"Pandorum: L'universo parallelo" è un film horror-fantascientifico di produzione tedesca-statunitense, uscito nel 2009, firmato dal regista Christian Alvart che ricordiamo, apprezzandone particolarmente lo stile, in "Curiosity & The Cat" (1999) film horror, "Antibodies" (2005), sempre horror, ed in "Case 39" (2008), pellicola thriller.
Alvart, con un budget di produzione da 40 milioni di dollari, considerato solitamente basso per un film di questo genere, gira una pellicola di sorprendente qualità, che lascia stupiti per l'assemblaggio di sequenze sceniche così diverse tra di loro per forma e linguaggio visivo, tratte da altri film, che vengono genialmente fuse dal regista in uno stile unico dagli effetti estetici mirabili, semplicemente inserendole ben ordinate in un super codice visivo retto da una fotografia di ricchissima composizione, finemente dettagliata, con angolazioni di ripresa difficilissime che danno gran vita comunicativa al racconto; una cura fotografica sempre al primo posto nel linguaggio filmico, in uno sfondo caratterizzato da un ambiente ermetico-claustrofobico, scuro, dalle intonazioni cromatiche tristi ma intense, che configurano i contenuti del film in una luce sempre carente, insufficiente, fin quasi alla fine del film conferendo spettralità e suspense al film.

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Recensione NODO ALLA GOLA

Recensione nodo alla gola




Regia di Alfred Hitchcock con James Stewart, Farley Granger, John Dall, Joan Chandler, Dick Hogan

Recensione a cura di A. Cavisi

È inutile: l'inimitabile Hitchcock si riconosce tra mille, anzi un milione, anzi un miliardo. Nessuno dopo di lui è stato capace di costruire dei film perfetti nei quale la tensione, la paura, il sussulto fanno perdere allo spettatore il senso del tempo e della realtà. E nessuno dopo di lui è stato capace di intessere trame che si snodano in maniera impeccabile davanti ai nostri occhi, facendoci desiderare e allo stesso tempo temere la fine del film. Desiderare perché non si vede l'ora di scoprire le carte del maestro e temere perché si vorrebbe continuare all'infinito ad ammirare la sua straordinaria abilità di grandissimo cineasta.
"Nodo alla gola" è un significativo esempio di come Hitchcock sia riuscito ad attrarre e stimolare l'attenzione dello spettatore, partendo da un omicidio nel quale ci è già svelato il colpevole, anzi i colpevoli e che quindi lascia spazio ad elucubrazioni sul movente o sulla sorte dei due assassini. Due assassini che suscitano quasi simpatia, soprattutto il più forte Brandon (John Dall) che pare quasi fiero e orgoglioso del suo gesto, mentre Philip (Farley Granger) appare sconvolto, fuori di sé, quasi succube del suo compagno. Appare quasi evidente che tra i due ragazzi, che vivono insieme e che stanno per partire insieme per trascorrere del tempo in campagna, ci sia un rapporto di tipo omosessuale, anche perché lo spunto per questo film al regista venne proprio da un fatto di cronaca vera: l'assassinio Leopold-Loeb, una coppia omosessuale, che scelsero la loro vittima a caso e l'ammazzarono senza un motivo.

Brandon e Philip hanno deciso di dare un ricevimento in casa loro per salutare gli amici in vista della loro partenza imminente per la campagna, dove resteranno per un periodo di sei mesi per studiare in santa pace e conseguire il maggior numero di esami possibili. Prima che tutti gli ospiti arrivino però, strangolano il loro amico David (Dick Hogan) e lo ripongono in una cassapanca. Philip è nel panico più totale e vorrebbe rimandare il ricevimento, mentre Brandon sicuro di sé e fiero del suo atto, decide che sarebbe proprio un'ottima idea servire la cena proprio sulla cassapanca/bara dove hanno riposto la loro povera vittima. Spostano quindi i candelabri, i piatti e le posate sulla cassapanca e ripongono i loro libri antichi (ai quali è interessanto il signor Kentley che è il padre di David e che è invitato alla festa) sul tavolo. La prima ad arrivare è la signora Wilson (Edith Evanson), la loro governante che si stupisce del fatto che la sua tavola preparata con tanto amore sia stata disfatta. Subito dopo cominciano ad arrivare a turno tutti gli altri ospiti: il signor Kentley (sir Cedric Hardwicke) accompagnato dalla signora Atwater (Constance Collier) perché sua moglie ha il raffreddore, Janet (Joan Chandler) la fidanzata di David prima fidanzata con un altro invitato, Kenneth (Douglas Kirk) e il loro vecchio insegnante del ginnasio e del liceo, il signor Rupert Cadell (James Stewart). La cena procede nel migliore dei modi fino a quando Janet e Kenneth si accorgono che Brandon ha deciso di farli tornare insieme senza chiedere il loro parare e soprattutto fino a quando Brandon non comincia a raccontare di quanto Philip fosse bravo a sgozzare galline portando il discorso su un argomento macabro quanto scottante: la teoria del superuomo di Nietszche secondo la quale esistono degli uomini superiori agli altri ai quali sarebbe permesso di porre fine alla vita degli uomini inferiori. A cominciare il discorso è stato Rupert che però si rende subito conto che Brian lo sta portando un po' troppo oltre i limiti e quindi impone al suo vecchio allievo di smetterla e di cambiare soggetto. Tutti nel frattempo si preoccupano del ritardo di David, anche lui invitato al ricevimento, e quando appare chiaro che non verrà più la preoccupazione comincia a crescere, dato che non si riesce a rintracciare il ragazzo.
Rupert appare molto sospettoso nei confronti dei sue due ex-allievi, soprattutto perché Philip si comporta in modo alquanto strano e perché Brandon durante la sua esposizione della teoria del superuomo sembrava estremamente serio. Quando tutti sono andati via e i due ragazzi si accingono a disfarsi del cadavere prima di partire, Rupert con la scusa di aver dimenticato il suo portasigarette torna nell'appartamento e…

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venerdì 13 agosto 2010

Recensione FELLINI - SATYRICON

Recensione fellini - satyricon




Regia di Federico Fellini con Hiram Keller, Capucine, Lucia Bosé, Fanfulla, Max Born, Salvo Randone, Martin Potter, Luigi Montefiori, Magali Noel, Alain Cuny

Recensione a cura di Giordano Biagio (voto: 8,0)

"Fellini - Satyricon" è un film magistrale le cui qualità essenziali risiedono nella coralità di costume dei personaggi e nello spessore letterario-cinematografico della narrazione.
Fellini gira un film fuori dal comune, calandosi in un genere come quello letterario latino di ardua realizzazione. La pellicola passerà alla storia del cinema come una delle rare opere filmiche d'autore che prendono spunto dagli antichi romanzi dell'impero romano.
"Fellini-Satyricon" è un film capace di fare spettacolo, di divertire, e nello stesso tempo trasmettere messaggi metaforici di alto valore comunicativo, in particolare quelli di carattere filosofico e letterario, che sono sempre ben vivificati dai pensieri più esistenziali di Fellini e ispirati dall'esperienza stessa della sua vita, complessa e contraddittoria, cattolica e laica, artistica e discutibilmente licenziosa, ma continuamente sottoposta al vaglio di una introspezione leggera e intelligente, ironica e sapiente nello stesso tempo.

La narrazione è molto originale, unica nello stile, scorrevole, senza pause espressive, ricca di una vitalità boccaccesca di difficile realizzazione, con una fotografia che rasenta per coerenza stilistica, composizione, associazioni di colori, la perfezione stessa dell'arte filmica nell'epoca del cinema moderno.
Fellini come non mai sale decisamente in cattedra proponendo, anche nelle scene più costruite, artificiose, un modello di raffinatezza scenografica sbalorditivo.
Ma, com'era di consuetudine con tutte le opere di Fellini, la critica, il pubblico e gli studiosi più diversi hanno dibattuto animatamente su questo film soprattutto sulla questione: "capolavoro si, capolavoro no, opera prima o opera seconda?" che anziché contribuire a dare più obiettività all'analisi della pellicola hanno finito per creare delle vere e proprie contrapposizioni di pensiero, sterili, finemente dogmatiche, concettualmente chiuse che alla lunga sono andate a discapito dell'opera stessa, cioè dell'acquisizione su di essa di un sapere filmico primario, essenziale, aperto, frutto di un equilibrio e una serenità di giudizio.
L'analisi su questo film è rimasta quindi largamente incompiuta, soprattutto per quanto riguarda la comprensione della logica più di fondo racchiusa nei simboli e nei significanti visivi del film.

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giovedì 12 agosto 2010

Recensione LA CASA DEL DIAVOLO

Recensione la casa del diavolo




Regia di Rob Zombie con Sid Haig, Bill Moseley, Sheri Moon, William Forsythe, Ken Foree, Matthew McGrory, Leslie Easterbrook

Recensione a cura di FrancescoManca (voto: 8,0)

Nell'estate del 2005, un piccolo film horror apparentemente modesto e privo di grandi pretese portò una notevole scossa tra il pubblico e la critica internazionale che, salvo pochissime ed irrilevanti eccezioni (tra cui il sottoscritto), non esitarono minimamente a considerarlo un'autentica e piacevolissima sorpresa in grado di rivoluzionare una volta per tutte la storia del cinema horror.
Quel piccolo film era "La casa dei 1000 corpi" e il suo creatore un noto rocker di nome Rob Zombie, un tempo leader della celebre band alternative metal White Zombie.

Incoraggiato dal successo ottenuto con la sua opera prima dietro la macchina da presa, Zombie - il cui vero nome, per la cronaca, è Robert Cummings - diede vita all'atteso sequel dal titolo "The Devil's Rejects", storpiato nell'edizione italiana con il banale "La casa del diavolo", traduzione che poco c'azzecca con gli effettivi intenti che si pone la pellicola sin dal movimentato incipit.
Il plot mette nuovamente al centro le vicende della macabra e sanguinaria famiglia Firefly, composta da Capitan Spaulding, Otis, Baby, Tiny e Mother Firefly che, dopo le truculente efferatezze compiute nel primo film, sono costretti in questa occasione a fuggire dalla pressante morsa della polizia capitanata dallo sceriffo John Quincy Wydell, assetato di vendetta nei loro confronti dopo che questi hanno ucciso suo fratello George.
Mother Firefly viene immediatamente catturata, ma Otis e Baby riescono a fuggire rifugiandosi in un motel dove prenderanno in ostaggio una famiglia in attesa dell'arrivo di Capitan Spaulding.

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