Recensione marpiccolo
Recensione a cura di peucezia
Uscito nel 2009 con la regia di Alessandro Di Robilant, "Marpiccolo" è un esempio di cinematografia d'impegno, squarcio di sole nel mondo dove regna solo l'apparire.
Interpreti poco noti a parte il bravo Michele Riondino (già visto tra l'altro nella trasposizione filmica del romanzo di Gianrico Carofiglio "Il passato è una terra straniera"), uso del dialetto, quasi un ritorno alle antiche tradizioni del neorealismo, vicino al docufilm e allo stile di "Gomorra", il film è ambientato a Taranto, città pugliese che ha visto in pochi anni il sogno industriale tradursi in un incubo di malattia e di morte.
Siamo a Paolo VI, quartiere periferico affacciato sull'Ilva, la grande fabbrica che avrebbe dovuto dare soldi e lavoro e che invece ha ammorbato l'aria portandosi appresso degrado e malattie.
Tiziano, il giovane protagonista di questo moderno bildungsroman ha sedici anni, è intelligente, potrebbe andare bene a scuola e la sua insegnante di lettere lo intuisce regalandogli quel "Cuore di tenebra" di Conrad che potrebbe voler dire molto, ma lui non comprende: è preso dalla voglia di affermarsi. Innamorato della sua sorellina da proteggere, legato a una madre giovanissima e sola e preso da Stella, una che abita dove l'aria è buona e le case sono luminose non come dove abita lui con l'aria pesante e quella strana polvere che si posa dappertutto.
Suo padre ci prova coi videopoker, perde tutto, scappa e Tiziano si ritrova a fare da capofamiglia.
Sua madre prova a far guerra a un ripetitore di telefonia che farebbe ancor più male a chi ormai non ha più fiato per ribellarsi, lui ruba prima al boss locale e poi è costretto a fare da esecutore per un delitto. Il riformatorio gli porterà la giusta illuminazione, la famiglia invece prende un'altra strada...
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