venerdì 14 gennaio 2011

Recensione RAN

Recensione ran




Regia di Akira Kurosawa con Tatsuya Nakadai, Akira Terao, Jinpachi Nezu, Daisuke Ryu, Mieko Harada, Yoshiko Miyazaki, Hisashi Igawa, Masayuki Yui

Recensione a cura di Ciumi (voto: 10,0)

Ciò che indica con il manico della sua spada, in una delle sequenze iniziali, ai propri figli Hidetora, Signore supremo del feudo, non è solo un regno materiale. E' un ordine mentale delle cose. Uno stato anche interiore non più fermo nei suoi domini, sebbene ancora non se ne renda conto.
Egli sembra segnalare, con precisione e fierezza, due castelli, la vastità delle sue terre, i loro confini, eppure l'inquadratura bassa non ci mostra che un cielo sconfinato, indefinito. Cosa nasconde? Una pace che fu assalita, conquistata e sottomessa. Ne fanno accenno le parole dello stesso Hidetora: "l'alba di questo giorno fu alimentata da sangue e fuoco, da morte e distruzione. Tale sarà il prossimo tramonto."

Solo dopo avere cacciato si può gustare la carne del cinghiale, solo dopo che la freccia è scoccata. E finito il banchetto, presto la fame ritorna. Bisogna rimontare a cavallo, impugnare nuovamente l'arco.
Così la caccia al cinghiale, con cui si apre "Ran" di Akira Kurosawa, è anche l'introduzione al motivo della guerra, ma è in primo luogo la rappresentazione di un rito e della tradizione, metafora di quell'ordine soltanto presunto e che ora dimora nelle terre e nella mente di Hidetora.
Nel vasto paesaggio collinare che costituisce il primo scenario, spalancato sotto un cielo luminoso, erboso ma spoglio, egli sta comunicando ai convocati la propria decisione di abdicare a favore del primogenito, Taro, al quale andrà il potere del primo castello, e di consegnare il secondo e il terzo rispettivamente a Jiro e Saburo, gli altri suoi due figli. E' un momento che dovrebbe svolgersi in assoluta armonia, nel rispetto di ogni ordine e disciplina. Come ci suggeriscono la simmetria delle inquadrature, la compostezza dei quadri, soprattutto l'organizzazione cromatica: nella semplificazione dei tre colori primari, rosso giallo e azzurro, ben distinti e complementari, si stagliano i costumi dei tre figli. Bianco è invece il vestito dell'anziano padre: bianco è la somma di tutti i colori.
Questi elementi riferiscono un'armonia, non in sostanza robusta quanto appare, che già si spezza come le tre frecce legate insieme: nell'incubo premonitore del vecchio Signore, nelle parole di disappunto del terzo figlio Saburo alla comunicazione del padre, che per quelle parole viene ripudiato.

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