martedì 26 giugno 2012

Recensione LA FIAMMA DEL PECCATO

Recensione la fiamma del peccato




Regia di Billy Wilder con Fred MacMurray, Barbara Stanwyck, Edward G. Robinson, Porter Hall, Jean Heather, Tom Powers

Recensione a cura di amterme63 (voto: 10,0)

Nell'immaginario collettivo cinematografico il titolo "La fiamma del peccato" è sempre stato sinonimo di film noir. Oltre a costituire un po' il prototipo e l'esempio perfetto di questo genere, l'opera di Billy Wilder del 1944 è anche uno dei film strutturalmente più solidi e visivamente più suggestivi mai girati. Il suo intreccio senza sbavature, la tensione tenuta sempre a livelli molto alti, il coinvolgimento emotivo diretto e profondo nelle vicende interiori dei personaggi fanno sì che dopo 70 anni il film continui ad appassionare e a lasciare ancora nell'animo dello spettatore un ché di angoscioso e di dolente.
Questo capolavoro costituisce stilisticamente infatti uno dei passaggi cruciali nell'impresa artistica cinematografica di rappresentare la parte scura dell'animo umano.

Fin dalla nascita del cinema i cattivi e i delinquenti sono sempre stati una presenza fissa nei film. Venivano però trattati in genere come semplici personaggi, figure narrative e basta. Furono i registi tedeschi espressionisti negli anni '20 i primi che ebbero il coraggio di rappresentare il male come una componente fondamentale dell'animo umano. Questo "male" aveva più che altro una sostanza spirituale e assumeva spesso la forma della follia o dell'incubo. Il grande merito dei film noir americani degli anni '40-'50 è stato quello di avvertirci che il male invece abita le città, è parte integrante della nostra vita quotidiana e può insidiare chiunque, anche chi ci sta vicino, anche noi stessi.
Basta abbassare un po' la guardia (come Lang ci mostra in "La donna del ritratto" e "La strada scarlatta") per essere risucchiati in un vortice di morte da cui è impossibile uscire. Hitchcock addirittura ci insegna a diffidare anche di chi ci è più caro (il suo capolavoro "L'ombra del dubbio"). Certamente l'atmosfera cupa e piena d'angoscia della fine della Seconda Guerra Mondiale ha contribuito al successo del genere. La morte, l'uccisione sentite come la normalità, come parte lecita del vivere umano, le grandi difficoltà materiali hanno indotto il sentimento collettivo a dubitare della tenuta etica del vivere civile ordinario.

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