Recensione il fiume rosso
Recensione a cura di Mimmot
Howard Hawks era già un veterano di Hollywood con più di trenta film alle spalle, alcuni anche di grande successo, quando decise di girare il suo primo western, dopo essersi già accostato al genere con l'ibrido "La costa dei barbari"; voleva però che il suo lavoro fosse "un western adulto e non uno dei soliti film di indiani".
Quando gli capitò tra le mani il racconto "The Chisholm Trail", di Borden Chase, ebbe la certezza che sarebbe riuscito nel suo intento.
E in effetti "Il fiume rosso" risultò un western adulto, un western che dietro la facciata convenzionale dei film del genere sottintende una molteplicità di tematiche e di significati.
Innanzi tutto c'è la profonda analisi dei caratteri dei personaggi, non più visti soltanto come modelli di indiscussa virilità, ma con le loro paure e le loro incertezze e forse anche con le loro ambiguità sessuali (emblematica, nell'antefatto del film, l'uccisione della moglie di Dunson, quasi a simboleggiare la rimozione della componente femminile da un autosufficiente universo maschile); c'è poi la rivisitazione del mito della frontiera, che non è più il tema dominante del film ma rimane sullo sfondo, quasi a far da cornice ad altre tematiche ben più importanti quali il conflitto generazionale, la prevaricazione, l'insubordinazione, l'amicizia virile, la nebulosità sessuale; c'è poi infine il lirismo tipicamente hawksiano, epico ma non convenzionale, qui rappresentato dalla raffinatezza dei dialoghi, dalle suggestive sequenze notturne, dal rapporto edipico tra l'anziano cow boy e il giovane figlioccio, dalla facile ironia dei mandriani, dalle inconfondibili riprese a tutto campo, che fotografano immense distese e suggestivi paesaggi e che fanno da sfondo alla rude vita dei cowboy.
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