venerdì 29 febbraio 2008

Recensione JOHN RAMBO

Recensione john rambo




Regia di Sylvester Stallone con Sylvester Stallone, Julie Benz, Paul Schulze, Matthew Marsden, Graham McTavish, Ken Howard, Rey Gallegos, Tim Kang, Jake La Botz

Recensione a cura di Gianfabio (voto: 7,0)

Quando non è solo la tigre a essere ancora viva... A 61 anni Sylvester Stallone si rimette in gioco e dopo un decoroso sesto e ultimo capitolo dedicato a Rocky Balboa, il pugile italo-americano che nel 1976 gli asfaltò la strada del successo e gli regalò tre Oscar, torna a rivestire coraggiosamente, dribblando il ridicolo, gli iconici panni di Rambo, il guerriero reduce dal Vietnam e babau dell'anima nera di quell'America che non accetta i suoi figli tornati dal fronte, quasi fosse una colpa aver servito la patria e soprattutto non aver avuto la considerazione di morire per essa.

Ora John Rambo trascina la propria esistenza catturando cobra, che poi vende a organizzatori di prove di coraggio, e percorrendo in battello il fiume Salween a scopo pesca e, se occorre, trasporto persone. Il luogo del buon ritiro è la Thailandia settentrionale. Poco distante, al confine tra la Thainlandia e la Birmania, si consuma il genocidio del popolo Karen ad opera del crudele esercito birmano.
John Rambo lascia che gli echi della sofferenza, delle esecuzioni sommarie e degli stupri quotidiani turpe risultato di una guerra giunta ormai al sessantesimo anno di età gli scivolino addosso assieme agli amari ricordi del suo passato di combattente, prima riconosciuto dal Paese e poi utilizzato per missioni dove, se gli fosse accaduto qualcosa, soltanto i suoi genitori avrebbero saputo della sua esistenza.
Nel villaggio dove vive arriva un giorno un gruppo di missionari americani che domandano di lui, della "guida americana del fiume". Il capo spedizione, Michael Bennet, un dottore, gli chiede di accompagnarli sul suo barcone lungo il Salween fino al punto da dove potranno, a piedi, raggiungere le colline dove si rifugiano i Karen e portare loro medicinali, generi di conforto e Bibbie. Dall'ultima volta che si sono avventurati in Birmania i militari hanno minato molti sentieri e quindi la via mare è al momento quella più sicura.
Non se ne parla neanche: Rambo non vuole immischiarsi in queste faccende e fa pesare loro il fatto che non avendo armi difficilmente potrebbero cambiare il corso degli avvenimenti. Ma è solo un cinismo di facciata, in realtà ha paura di dare anche solo la minima chance di riscossa all'imprinting alla guerra che incancrenisce il suo DNA. Piove, una pioggia senza argini che se sommergesse il mondo sarebbe meglio; Sarah, fidanzata di Michael, prova nuovamente a persuadere quell'uomo così silenzioso e sfuggente. "Deve pur credere in qualcuno. Deve ancora importarle di qualcosa".
Piove, ed è una pioggia che scioglie anche le ultime incertezze. Il giorno dopo, i missionari sono sul fiume. Rambo, a poppa, manovra senza proferire parola. Il suo viso non sembra tradire alcun interesse per quello che sta facendo. Falso: non ha voluto compenso e tutte le fibre del suo essere sono tese a captare il minimo segnale di pericolo, che puntualmente si affaccia a riscuotere il suo tributo. Un battello di pirati birmani li intercetta. Rambo prova a placare gli animi, ma quando il capo di quella banda di tagliagole si accorge che la barca trasporta una donna e le armi puntate dei pirati attendono solo di lordarsi degli schizzi di sangue, accade solo e semplicemente quello che deve accadere.

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giovedì 28 febbraio 2008

Recensione IL FIORE DEL MIO SEGRETO

Recensione il fiore del mio segreto




Regia di Pedro Almodovar con Marisa Paredes, Juan Echanove, Carmen Elías, Rossy de Palma, Kiti Manver, Joaquin Cortès, Manuela Vargas, Imanol Arias, Gloria Muñoz, Jordi Mollà, Chus Lampreave, Nancho Novo

Recensione a cura di Pasionaria (voto: 7,5)

Valutato forse a ragione film minore, questo lungometraggio di Almodòvar uscito nel 1995 andrebbe tuttavia riconsiderato poichè segna una svolta verso il percorso che condurrà il regista a "capolavori" quali: Tutto su mia madre e Volver. Se si guarda Il fiore del mio segreto dopo questi ultimi, infatti, è evidente come in esso siano già presenti temi e considerazioni riproposti e approfonditi negli altri due. Certo, si potrebbe obiettare che fin dai primi lavori TUTTI i film di Pedro siano legati fra loro dal filo conduttore della riflessione del regista su se stesso e sul proprio sistema di valori; tuttavia in questo film emerge un Almodòvar , ormai maturo, sensibilmente più riflessivo sul suo mondo, ormai lontano da quello giovane e bizzarro di "Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio" (per citare il primo dei tanti suoi lavori giovanili).

E' plausibile che proprio questa svolta sia da ritenersi motivo di perplessità fra i suoi estimatori, abituati agli estetici tuffi nel kitsch esasperato e allo stile dissacrante dei canoni classici.

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martedì 26 febbraio 2008

Recensione LO SCAFANDRO E LA FARFALLA

Recensione lo scafandro e la farfalla




Regia di Julian Schnabel con Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Marie-Josée Croze, Hiam Abbass, Niels Arestrup, Fiorella Campanella, Jean-Pierre Cassel, Emma de Caunes, Max von Sydow

Recensione a cura di kowalsky (voto: 8,0)

Il film narra la storia vera (edita in un libro pubblicato nel 1997) di Jean Dominique Bauby, giornalista di successo, ex marito di Celine (Emmanuel Seigner) e padre di tre bambini, che a 43 anni subisce un incidente, un devastante ictus che lo paralizza completamente, rendendolo muto e cieco da un occhio e costringendolo a comunicare muovendo le palpebre dal solo apparato visivo ancora idoneo. Il suo caso viene definito in termini medici "Sindrome da Locked In", che tradotta in italiano significa "blocco" o "imprigionamento", patologia particolarmente diffusa in seguito a una trombosi e/o tunnel carpale.
Superato il primo impatto di autocoscienza con la condizione in cui si trova, Jean ben presto impara a liberarsi della propria impotenza, conscio di poter "guidare la mente" in svariate dimensioni visive che, per quanto astratte, gli consentono di ritrovare un barlume della propria vita precedente, prima della sua prigionia corporale.
Jean vive un anno e due mesi nella stanza 119 dell'Hospital Maritime di Berck Sur Mer, capeggiato da un'efficiente staff di medici, logopediste, fisioterapiste/i e infermiere/i.
Grazie alle cure di un'infermiera, egli impara un alfabeto nuovo, l'unico mezzo rimasto di comunicazione non verbale con il mondo circostante.
Si tratta di una tecnica in cui le lettere dell'alfabeto vengono sovrapposte a seconda dell'uso quotidiano che se ne fa, e Jean dovrà sceglierne una alla volta battendo una sola volta le ciglia (in senso affermativo) fino a comporre una parola o una frase compiuta.
Nel corso della sua malattia, Jean rivede in flashback le esperienze passate, il difficile rapporto con la moglie, quello con i figli, la spensierata allegria con la nuova compagna, il rapporto con i colleghi di lavoro, passando via via da una sorta di catartica impotenza a una labile speranza di sopravvivenza. Tutto questo lo porta a decidere di raccontare la sua esperienza in un libro (quello da cui è tratto l'ononimo film) dettando attraverso il battito delle ciglia ogni parola e frase, paragrafi e capitoli successivi.

Raccontare la trama del nuovo film di Schnabel è frustante: si percepisce un distacco formale dalla vicenda, mentre nei panni dello spettatore avviene il contrario, rischiando di impaludarsi nell'emotività delle immagini, di diventare troppo fideistici nei confronti del film.
"Lo scafandro e la farfalla", opera terza del tutt'altro che prolifico Julian Schnabel (una filmografia di tre titoli in dodici anni di attività) è un'opera che rischia molto, ma che per ragioni che non potremmo giudicare obiettivamente si distacca parecchio da altri film del genere, come il "Mare dentro" di Amenabar o il misconosciuto, splendido "Son frere" di Chereau.
Per quali ragioni?

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Recensione POINT BREAK

Recensione point break




Regia di Kathryn Bigelow con Patrick Swayze, Keanu Reeves, Gary Busey, Lori Petty, John C. McGinley, James LeGros, John Philbin, Bojesse Christopher, Julian Reyes

Recensione a cura di ele*noir

Point break. E' il nome che i surfisti danno ad un punto il cui fondale si presenta roccioso. E il fondale è importante. Artefice diretto delle onde, le ammaliatrici dell'acqua. Poi il brivido del punto di rottura, e nient'altro.

Los Angeles. Una banda esegue con precisione e maestria una rapina dietro l'altra senza mai cadere in fallo. Un lavoro veloce e pulito e nessuna violenza. Unico segno distintivo: le maschere di quattro famosi presidenti americani, una chiara provocazione, anzi una bella beffa. A cercare di fermare i rapinatori ci sono una matricola fresca di promozione e un veterano della sezione speciale dell'FBI. Un'acuta intuizione da cui partire è l'inizio dell'indagine, e, attraverso gli occhi del giovane agente infiltrato, prende il via un viaggio nel mondo del surf e della filosofia dell'adrenalina pura.

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lunedì 25 febbraio 2008

Recensione THE NEW WORLD - IL NUOVO MONDO

Recensione the new world - il nuovo mondo




Regia di Terrence Malick con Colin Farrell, Joe Inscoe, Jamie Harris, Michael Greyeyes, Jason Aaron Baca, Q'Orianka Kilcher, Eddie Marsan, Christian Bale

Recensione a cura di dario carta

"The New World" comincia alle prime luci dell'alba del XVII secolo, alle porte della colonizzazione delle Americhe da parte degli Europei, quando la popolazione del Nord America era costituita da coloro i quali sa sarebbero stati chiamati in seguito "Indiani d'America".
Nel 1607 tre vascelli inglesi sbarcano sulle coste della Virginia con a bordo 103 marinai; come membri della Virginia Company,hanno l'incarico di fondare una nuova colonia, alla frontiera del Nuovo Continente.
All'approccio delle prime bellissime immagini, che hanno lo scopo di presentare allo spettatore una Terra Promessa in tutte le sue forme di naturalistico splendore, fatto di cristallini specchi di acqua marina, macchie di vegetazione vergine e la revenziale e timorosa curiosità dei nativi, contrasta stridente la successiva inquadratura di un uomo alle porte del suo destino di condannato all'impiccagione.
Ma nonostante l'accusa di ammutinamento, John Smith (Colin Farrell), trova il condono del capitano Christopher Newport (un grande Christopher Plummer) per i meriti e la sua abilità nel condurre le esplorazioni; l'incipit si conclude così con una inattesa chiusura di quadro, che caratterizzerà l'intero montaggio a seguire.

Questa è l'introduzione del bel film "The New World", diretto dal meticoloso e precisissimo Terrence Malick ("La rabbia giovane" 1973, "I giorni del cielo" 1978, "La sottile linea rossa" 1998).
Ecco riassunti in pochi minuti i connotati della pellicola,che troveranno svolgimento nel successivo sviluppo di 144 minuti di un dramma umano inserito in un teatro ove la Natura gioca maestra.
I doni di questa terra sono subito presentati ("Qui le benedizioni della terra sono elargite a tutti; nessuno deve crescere povero; qui c'è un buon terreno per tutti") e la descrizione fotografica è splendida: chi guarda ne è rapito e decide di essere lì anche lui, a scoprire quella nuova terra.
Il successivo incontro tra i colonizzatori e la tribù dei Powhatan è incantevole, immerso com'è nei suoni del vento e dei colori di una realtà incontaminata, tanto da ricordare certi aspetti del predecessore "Balla coi lupi", in cui in primo piano è il tentativo di innesto di due civiltà di differenti caratteristiche.
Ma non tarda il momento in cui si appalesa la tendenza dell'uomo a prevaricare la libertà altrui e, in contromisura, l'anelito innato alla difesa della propria libertà.
L'accondiscendente curiosità ed accettazione degli Algonquini si trasforma in paura ed ostilità, a difesa delle proprie realtà.
Anche in questo caso, come già accadde al John Dunbar di Costner, Smith viene trascinato nel villaggio allo scoperto ed indifeso di fronte alle manifestazioni di questo popolo, tra clamori e danze, canti e grida, ma nel silenzio della paura più viscerale per un destino minaccioso.
Quando la vita del capitano sta per concludersi per mano di un guerriero, la giovane principessa Pocahontas, figlia del capo Wahunsunacock, interviene a salvezza del prigioniero.

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mercoledì 20 febbraio 2008

Recensione SOGNI E DELITTI

Recensione sogni e delitti




Regia di Woody Allen con Ewan McGregor, Colin Farrell, Tom Wilkinson, Hayley Atwell, Sally Hawkins, John Benfield, Phil Davis

Recensione a cura di GiorgioVillosio

Il grande Woody ha superato da alcuni anni i settanta: così, la stella "esistenziale" di uno dei più geniali autori del cinema di sempre va inevitabilmente verso l'estinzione.
Fatale, dunque, che il mondo dei suoi pensieri si orienti diversamente, interrogandosi sui più grandi dilemmi dell'esistenza: i perché della vita, l'imprevedibilità della sorte, la cecità del destino e gli abissi del peccato, coi dolorosi sensi di colpa che ne conseguono.

Affrontando questo nuovo corso, il geniale Woody sembra avere scelto come terreno ideale la vecchia Inghilterra, con un proposito che ci è comunque oscuro: forse perché in tema di delitti ha fatto scuola coi suoi maestri del brivido, lasciandogliene un ricordo subliminale? Oppure, fantasticando, perché la natura fondamentalmente ebrea dell'autore voglia tornare più vicino alle radici profonde, appropinquandosi la dipartita? O ancora perché il vecchio continente gli sembra, in una visione metaforica dell'esistenza, più consono ad una storia di declino fatale rispetto alla "ancor giovane" America Yankee?

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Recensione NAPOLI MILIONARIA

Recensione napoli milionaria




Regia di Eduardo De Filippo con Eduardo De Filippo, Titina De Filippo, Delia Scala, Leda Gloria

Recensione a cura di peucezia

Commedia tragica uscita quando in gran parte della penisola gli echi del conflitto non si erano ancora spenti, "Napoli milionaria" ha dato ad Eduardo De Filippo un grande successo nazionale ed oltre i confini, anche se il grande commediografo napoletano non ha voluto in seguito rappresentarla tanto spesso.
La trasposizione cinematografica però non è del tutto fedele al testo teatrale, ma piuttosto si presenta quasi come un'integrazione che costruisce l'antefatto e il finale che mancavano alla commedia conclusa con un allegorico "Ha dda passa' 'a nuttata".

Eduardo introduce nella vicenda un personaggio inesistente nell'originale, interpretato dall'amico Totò e cioè Pasquale, un povero cristo che si arrabatta continuamente per tirare a campare, ed è a lui che Eduardo cede una delle scene chiave dell'intera storia: quella cioè del finto morto che conclude il primo atto.
La storia si divide in tre quadri principali: prologo (anteguerra arricchito dal duetto Totò-Eduardo sulle cause dello scoppio di un conflitto), guerra e dopoguerra a sua volta divisa in due parti distinte. Eduardo si sofferma più che sui personaggi originari della sua commedia sul vicolo e sui suoi abitanti intendendo dare una visione d'insieme, nel contempo però i suoi personaggi non finiscono penalizzati da questa rilettura poiché un occhio attento è in grado di approfondire certe loro caratteristiche che altrimenti sarebbero sfuggite allo spettatore (donna Adelaide, interpretata dalla sorella Titina nel ruolo di una affittacamere un po' tirchia, la figlia "perduta", il figlio Amedeo vittima di se stesso e delle sue cattive compagnie). La protagonista principale Leda Gloria (futura moglie di Peppone nel ciclo di don Camillo) pur valida non riesce a dare al suo personaggio il pathos della sua corrispettiva Regina Bianchi interprete di una felice trasposizione televisiva del 1962, ma è proprio nei personaggi minori la forza del film che attraverso questi minuscoli bozzetti rendono il continuo passaggio da commedia a tragedia.

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martedì 19 febbraio 2008

Recensione CLOVERFIELD

Recensione cloverfield




Regia di Matt Reeves con Lizzy Caplan, Jessica Lucas, T.J. Miller, Michael Stahl-David, Mike Vogel, Odette Yustman

Recensione a cura di ferro84 (voto: 7,0)

Se la mancanza di idee è alla base della crisi del cinema degli ultimi anni, è possibile che nelle nostre sale approdi un prodotto realmente innovativo? Sopraffatti come siamo dalle nuove tecnologie e dall'overdose di effetti speciali, è sempre più difficile poter apprezzare un prodotto che sappia piacevolmente impressionare.
La sperimentazione è stata confinata in un certo cinema indipendente soprattutto europeo, ma se parliamo di "Cloverfield" il discorso cambia: dietro l'apparenza di un classico disaster movie si cela un film realizzato con tecniche del tutto originali sia nella produzione che nell'operazione di maketing che lo ha preceduto.

"Cloverfield" trasporta sul grande schermo gran parte delle innovazioni che la televisione americana ed in parte europea (Italia esclusa, ovviamente) hanno prodotto negli ultimi anni. Alla base della pellicola c'è una rivisitazione delle tecniche del racconto per immagini; gli sceneggiatori di serial televisivi sono riusciti a dimostrare che non è importante cosa si racconta, bensì "il come": serie del calibro di "Dottor House", "I Soprano", "Desperate Housewives", "Ally McBeal", "Lost" o "Alias" dimostrano che è possibile riproporre vecchie formule - le vicende di un ospedale, di uno studio legale o di una famiglia mafiosa - semplicemente proponendo un nuovo linguaggio, intrigando il pubblico con personaggi complessi e ricchi di sfaccettature.
In questo campo J.J. Abrams rappresenta sicuramente la figura più rappresentativa e incisiva di questo rinnovamento: ad Abrams dobbiamo infatti serie come "Alias" e "Lost", quest'ultimo diventato, grazie ad un sapiente dosaggio di marketing azzeccato e sceneggiatura sapiente, un prodotto capace di stimolare la curiosità del pubblico diventando un vero e proprio fenomeno di costume paragonabile al "Twin Peaks" di Lynch e Frost.

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lunedì 18 febbraio 2008

Recensione SENTIERI SELVAGGI

Recensione sentieri selvaggi




Regia di John Ford con John Wayne, Jeffrey Hunter, Vera Miles, Natalie Wood, Dorothy Jordan

Recensione a cura di Gardner (voto: 10,0)

"Sentieri selvaggi" è una storia solo apparentemente semplice, tratta dal romanzo di Alan Le May e sceneggiata da Frank S. Nugent.
Alla fine della guerra civile, in compagnia di un giovane mezzosangue, Ethan Edwards si mette alla ricerca di una nipotina, rapita da una tribù di Comanci.

Sullo sfondo della Monument Valley si snoda uno dei western più densi e misteriosi di J. Ford a livello figurativo, ed uno dei più complessi su quello narrativo, nella sua mescolanza di elementi tragici inframezzati da momenti di taglio umoristico.
John Wayne è qui alle prese con il più ambiguo dei personaggi fordiani, una figura di loner tormentato che rivela come anche l'universo del regista, in apparenza così trasparente, abbia i suoi segreti e i suoi abissi insondabili. Ethan Edwards va alla ricerca di se stesso più che della nipotina Debbie, come per trovare una tranquillità interiore e purgarsi del selvaggio odio razziale da cui sembra ossessionato.

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venerdì 15 febbraio 2008

Recensione SIGNORINA EFFE

Recensione signorina effe




Regia di Wilma Labate con Filippo Timi, Valeria Solarino, Sabrina Impacciatore, Fausto Paravidino, Clara Bindi

Recensione a cura di gerardo (voto: 7,5)

La crisi dell'industria, tra la fine degli anni '70 e i primi '80, passo successivo alla crisi petrolifera e alla stagflazione di qualche anno prima, è il segno di un cambiamento strutturale nelle politiche e negli assetti sociali del capitalismo occidentale. La produzione arranca anche per effetto della saturazione dei mercati e del conseguente calo della domanda, mentre tutti i sistemi politici occidentali, in particolar modo quelli europei, impostati dal dopoguerra su un capitalismo "socialdemocratico", che tende alla protezione delle fasce sociali più deboli attraverso i meccanismi redistributivi del Welfare State, vengono ora messi in discussione a favore di un liberismo più estremo e soppiantati da un conservatorismo che punta l'indice contro la spesa pubblica e incentiva l'iniziativa privata come unica risorsa propulsiva per la società. La prima conseguenza di questa mutazione socio-politica è la disoccupazione di massa.

Torino, settembre 1980. La FIAT annuncia un taglio di 14.496 operai sulle linee di produzione. È mobilitazione generale.
Emma (Valeria Solarino) è un neocolletto bianco, impiegata nel settore informatico (ai "calcolatori") della FIAT e laureanda in matematica. Ha una storia con Silvio (Fabrizio Gifuni), ingegnere e dirigente FIAT, futuro yuppie degli immediati anni a venire. Sergio (Filippo Timi) è un operaio della catena di montaggio di Mirafiori, tra quelli che rischiano seriamente il proprio posto di lavoro. Le storie - simboliche - dei tre protagonisti sono destinate ad incrociarsi, e a scontrarsi, nei 35 giorni di sciopero lungo i quali si snoda il film.

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mercoledì 13 febbraio 2008

Recensione IL SETTIMO SIGILLO

Recensione il settimo sigillo




Regia di Ingmar Bergman con Gunnar Björnstrand, Bengt Ekerot, Nils Poppe, Max von Sydow, Bibi Andersson, Inga Gill, Maud Hansson

Recensione a cura di Giordano Biagio (voto: 10,0)

"Il settimo sigillo", uscito nel 1956, è unanimemente riconosciuto da pubblico e critica come uno dei film più coinvolgenti e celebri degli anni cinquanta, una vera e propria icona del pensiero di un'epoca.
Il film di Bergman, infatti, nonostante la sua vocazione artistica ed autoriale, ha goduto di uno straordinario successo di pubblico, superando a pieni voti anche il giudizio dei media, sempre attenti al primo impatto che un film ha con gli spettatori. Sia la stampa occidentale che le maggiori reti televisive lo hanno quindi sostenuto a più riprese promuovendone per molto tempo la visione in luoghi di tradizione laica e religiosa.

Il cavaliere Antonius Block, di ritorno nella propria terra dalle crociate, trova ad attenderlo la Morte. Riuscirà a ritardare il proprio ineluttabile destino impegnandola in un'estenuante partita a scacchi, che nessuno dei due può permettersi di perdere; il tutto sullo sfondo di una Svezia martoriata dalla peste e dalla superstizione.

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martedì 12 febbraio 2008

Recensione UNA CANZONE PER BOBBY LONG

Recensione una canzone per bobby long




Regia di Shainee Gabel con John Travolta, Scarlett Johansson, Gabriel Macht, Brooke Allen, David Jensen

Recensione a cura di Debora P.

Dopo aver appreso della morte di sua madre, una ragazza di nome Pursy (Scarlett Johansson) decide di andare sulle tracce di quella donna che in realtà fu poco presente nella sua vita. Facendo leva solo su un vago ricordo, Pursy vuole ricostruire quell'immagine materna nella sua mente e nel suo cuore. Durante questo "viaggio" si imbatterà in un ex professore di letteratura, il bisbetico Bobby Long (John Travolta).
Inizialmente non scorrerà buon sangue tra i due e la ragazza sarà addirittura costretta a condividere con lui lo stesso tetto, finchè scopre che l'ex coinquilino di Bobby, Lawson, sta addirittura redigendo una biografia su questo burbero.
Bobby Long è spregiudicato e volgare; perché scrivere un libro su di lui?

"Una canzone per Bobby Long", film dell'esordiente regista Shainee Gabel, non lascia spazio al sorriso. Dall'inizio alla fine prevale un unico sentimento: la solitudine. Osservando i personaggi con cura si potrà notare come per esempio Bobby Long, dopo la morte della sua più cara amica, si "getti fra le braccia" dell'alcool; ma anche come la ragazza Pursy, bisognosa di affetto e calore familiare, decida di vivere insieme all'arrogante letterato nonostante non sopporti i suoi modi di fare. Anche la colonna sonora prettamente blues fa da cornice alla malinconia, in particolar modo quando John Travolta si esibisce in grande stile con la chitarra, riuscendo a creare un'atmosfera magica che avvolge completamente lo spettatore. Non si dimentichi poi che nel film appare anche il cantautore americano Grayson Capps, figlio dell'autore del romanzo "Off magazine street" dal quale questo film è tratto. Capps ha aiutato l'attore del celebre "Grease" a trovare l'accento da bluesman, indispensabile per interpretare al meglio quel genere di pezzi.

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venerdì 8 febbraio 2008

Recensione SUICIDE CIRCLE

Recensione suicide circle




Regia di Shion Sono con Ryo Ishibashi, Akaji Maro, Masatoshi Nagse, Saya Hagiwara

Recensione a cura di ele*noir

Per la regia di Shiono Sono, "Suicide Circle" è un progetto estremamente delicato della produzione nipponica. Il Giappone ci ha più volte posto davanti a scene drammatiche, fortemente crudeli e sconvolgenti, ma in questo caso ci troviamo in un piano molto diverso; definire il film come sconvolgente e impressionante suonerebbe come un eufemismo poco azzardato e decisamente non lusinghiero.

L'occhio osservatore del pubblico è posto davanti all'indecifrabile scelta del suicido da parte di numerosi gruppi di ragazzi, sotto lo sguardo atterrito degli "altri", coloro che "non lo fanno". La polizia indaga, sospetta elaborati piani d'organizzazione ma è difficile capire le motivazioni e la progettazione di un gesto tanto estremo. I personaggi, a gruppi o singolarmente, prendono temporaneamente l'attenzione della regia e raccontano di sè, cercando di svelare qualcosa in più su quel pensiero, il suicidio, che tuona e brucia sugli eventi ma che non si osa guardare in faccia. L'unico vero protagonista è il suicidio.

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