martedì 26 febbraio 2008

Recensione LO SCAFANDRO E LA FARFALLA

Recensione lo scafandro e la farfalla




Regia di Julian Schnabel con Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Marie-Josée Croze, Hiam Abbass, Niels Arestrup, Fiorella Campanella, Jean-Pierre Cassel, Emma de Caunes, Max von Sydow

Recensione a cura di kowalsky (voto: 8,0)

Il film narra la storia vera (edita in un libro pubblicato nel 1997) di Jean Dominique Bauby, giornalista di successo, ex marito di Celine (Emmanuel Seigner) e padre di tre bambini, che a 43 anni subisce un incidente, un devastante ictus che lo paralizza completamente, rendendolo muto e cieco da un occhio e costringendolo a comunicare muovendo le palpebre dal solo apparato visivo ancora idoneo. Il suo caso viene definito in termini medici "Sindrome da Locked In", che tradotta in italiano significa "blocco" o "imprigionamento", patologia particolarmente diffusa in seguito a una trombosi e/o tunnel carpale.
Superato il primo impatto di autocoscienza con la condizione in cui si trova, Jean ben presto impara a liberarsi della propria impotenza, conscio di poter "guidare la mente" in svariate dimensioni visive che, per quanto astratte, gli consentono di ritrovare un barlume della propria vita precedente, prima della sua prigionia corporale.
Jean vive un anno e due mesi nella stanza 119 dell'Hospital Maritime di Berck Sur Mer, capeggiato da un'efficiente staff di medici, logopediste, fisioterapiste/i e infermiere/i.
Grazie alle cure di un'infermiera, egli impara un alfabeto nuovo, l'unico mezzo rimasto di comunicazione non verbale con il mondo circostante.
Si tratta di una tecnica in cui le lettere dell'alfabeto vengono sovrapposte a seconda dell'uso quotidiano che se ne fa, e Jean dovrà sceglierne una alla volta battendo una sola volta le ciglia (in senso affermativo) fino a comporre una parola o una frase compiuta.
Nel corso della sua malattia, Jean rivede in flashback le esperienze passate, il difficile rapporto con la moglie, quello con i figli, la spensierata allegria con la nuova compagna, il rapporto con i colleghi di lavoro, passando via via da una sorta di catartica impotenza a una labile speranza di sopravvivenza. Tutto questo lo porta a decidere di raccontare la sua esperienza in un libro (quello da cui è tratto l'ononimo film) dettando attraverso il battito delle ciglia ogni parola e frase, paragrafi e capitoli successivi.

Raccontare la trama del nuovo film di Schnabel è frustante: si percepisce un distacco formale dalla vicenda, mentre nei panni dello spettatore avviene il contrario, rischiando di impaludarsi nell'emotività delle immagini, di diventare troppo fideistici nei confronti del film.
"Lo scafandro e la farfalla", opera terza del tutt'altro che prolifico Julian Schnabel (una filmografia di tre titoli in dodici anni di attività) è un'opera che rischia molto, ma che per ragioni che non potremmo giudicare obiettivamente si distacca parecchio da altri film del genere, come il "Mare dentro" di Amenabar o il misconosciuto, splendido "Son frere" di Chereau.
Per quali ragioni?

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