martedì 8 aprile 2008

Recensione LA DAMIGELLA D'ONORE

Recensione la damigella d'onore




Regia di Claude Chabrol con Benoît Magimel, Laura Smet, Aurore Clément, Bernard Le Coq

Recensione a cura di Mimmot

Dieci anni dopo lo straordinario "Il buio nella mente", Claude Chabrol torna ad adattare un romanzo della scrittrice inglese Ruth Rendell ("The Bridesmaid", in italiano "Il pugnale di vetro"), ma era dai tempi di "Inferno" (1994) che non girava un noir così sensuale e così sottilmente "malato" com'è questo straordinario "La damigella d'onore".
Con questo film il cineasta francese, padre nobile della nouvelle- vague (ricordiamo il film capostipite "Le beau Serge" del 1954), continua la sua ricerca tesa a scandagliare ed analizzare le morbosità, i vizi e le perversioni della piccola borghesia della provincia francese, abilmente celati dietro l'apparente normalità di una ipocrita rispettabilità di facciata.
Anche in quest'opera, presentata fuori concorso al Festival di Venezia 2004, Chabrol conferma il suo stile rigoroso e impeccabile nel raccontare una storia d'amour-fou e nel materializzare l'angoscia misteriosa che deriva dalla perdita della ragione.
Non è facile riuscire a percepire i segnali che Chabrol lancia quando rivolge il suo sguardo verso gli accadimenti terreni, perchè avviluppa i suoi personaggi in un alone di suspense e di mistero ai limiti del surreale, e perchè, in un percorso di esplorazione degli istinti del cuore e della mente, suscita disordine nelle vite degli uomini, scoprendo il malessere, la follia, la vertigine infinita che albergano nel loro animo e che montano insorabilmente fino al punto patologico di deflagrazione per poi, alla fine, ricomporsi fino quasi a trovare una impossibile armonia.

Non è facile catalogare Chabrol, così come non è facile catalogare i suoi film: c'è certamente molto Hitchcock (cui peraltro ha dedicato un libro quando lavorava ai Cahiers du cinéma) nelle sue opere, e lo si capisce da come presenta i suoi personaggi (svelandone segreti, identità, problematiche, esternazioni), dalla fascinazione costante della colpa, dalla capacità di pescare nel torbido per sublimarlo, in un transfert psicologico, dal colpevole a colui che sembra l'innocente, dalla leggerezza del tocco, dalla sottile ironia, dalla capacità di giungere al culmine della suspense per poi spiazzare lo spettatore con un finale che, spesso, sembra sciogliere (in realtà solo apparentemente) l'enigma della vicenda.

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