Recensione riprendimi
Recensione a cura di GiorgioVillosio
Una telecamera segue di continuo una giovane coppia per girare un documentario sui temi della precarietà lavorativa. Ma il racconto finisce presto per incentrarsi sulla precarietà dei sentimenti amorosi ed affettivi, in un'ottica "al femminile".
Quante valenze e chiavi di lettura diverse nell'intrigante film della "resuscitata" Anna Negri, che mancava nelle sale dal lontano 1998 (con "In principio erano le mutande"); originale a partire dal titolo, con il suo doppio significato filmico e/o sentimentale.
La regista porta un nome famoso, ma del padre non vuole sentire parlare nel modo più assoluto, e prende le giuste distanze rifugiandosi nel privato, raccontando "storie di ordinari sentimentalismi femminili" come se la dimensione individuale fosse davvero quella unica, ed il contesto sociale contasse poco; si smentisce però quando, forse per reminescenze edipiche, ci mostra un affresco di vite singole fortemente condizionate dal momento storico e dall'insieme socio-culturale del Paese e dei tempi in cui viviamo.
A dimostrazione di quanto sopra, il fatto che il film trovi spazio solo come produzione indipendente (grazie a Francesca Neri) ed in festival alternativi (grazie a Robert Redford), e che tanta lucidità di osservazione le venga dai lunghi studi all'estero, in Paesi più ricchi ed aperti del nostro come Francia, Olanda e Gran Bretagna; la quale formazione sembra consentirle una visuale esterna, non condizionata della nostra realtà, con la vocazionale spietatezza del documentario.
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