Recensione sanguepazzo
Recensione a cura di kowalsky (voto: 7,0)
La vita di Luisa Ferida (1914-1945) e Osvaldo Valenti (1906-1945), la storia dell'amore più appassionante e disperato della storia del cinema italiano, meriterebbe un paragrafo a parte: anche se alle nuove generazioni i loro nomi non dicono niente, la loro vicenda è emblematica sia delle difficili o contestabili scelte individuali, sia del doloroso passaggio dell'Italia tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la nascita della Repubblica Parlamentare di oggi.
Luisa Ferida era bella, bruna, ricca di sensualità, facendo sfoggio di quel glamour (qualcuno direbbe "di regime") che in un certo senso rispecchiava le dive dell'epoca, su tutte Doris Duranti.
Valenti era un'attore dotato di una forte caratterizzazione, forse enfatico ma certamente non "estremo" come riferiscono le cronache dell'epoca, comunque quasi Falstaffiano nella sua possenza, privilegiando (ma non per causa sua) ruoli di villain, spregevoli o inquietanti (come quello del rivale perenne di Nazzari ne "La cena delle beffe").
Marco Tullio Giordana ha riproposto la loro storia, costellata da episodi della breve carriera di ciascuno (una decina d'anni entrambi, trenta film per la Ferida e quarantasette per Valenti all'attivo), proponendo improbabili sequel di "Capitan Fracassa", "Enrico IV" o (ancora) "La locandiera", girato a Venezia, seguendo un criterio tutto sommato fedele alla cronaca nel rievocare la storia che lega l'amour fou dei due amanti-attori.
Certamente è facile recriminare su alcune scelte, come la discussa sequenza saffica della Bellucci presso la famigerata Villa Koch (più un'espediente glamour per corteggiare lo spettatore) o sul personaggio completamente inventato di Goffredi impersonato da Alessio Boni, sorta di "amante perduto" (o impossibile) che sembra uscito dalle pagine di un feulleiton d'autore.
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