Recensione elephant
Recensione a cura di pompiere (voto: 10,0)
I genitori non hanno più il controllo. Sbandano anche quando la strada è diritta. Vuoti e sfocati, come i corridoi scolastici percorsi dalla loro prole.
L'assenza è così palese che sono loro ad essere al servizio dei figli, quei discendenti altrettanto disorientati, costretti ad amministrare le "virtù" loro malgrado. Questi ragazzi tirano su col naso e camminano solitari con in mano fucili e bombe.
Come siamo arrivati a tutto questo? Bisogna sbrigarsi a trovare una risposta: le nubi si muovono in fretta, e si fa presto ad oscurare un cielo limpido con nembi grigio scuro, a passare dal giorno alla notte...
Suddiviso in capitoli che portano il nome dei ragazzi protagonisti, "Elephant" è un ritratto adolescenziale scritto, montato e diretto da Gus Van Sant, regista esperto delle problematiche di giovani che si avvicinano all'età adulta e alla vita in generale. Solamente ispirato alla tragedia nel liceo di Columbine, a Littleton, in Colorado, il 20 aprile del 1999, Van Sant si smarca abilmente dai fatti di cronaca cambiando i nomi dei veri studenti coinvolti e ambientando le riprese in un giorno chiaramente autunnale, prendendo in considerazione adolescenti crudeli ma bene inseriti, figli di una società benestante e tediata.
Tuttavia la capacità creativa dell'autore non si ferma a questa area esclusiva; non c'è mai, da parte del regista, l'intenzione di ancorarsi a una traccia calcolata. Con la macchina da presa sta addosso a questi giovani, li bracca alle spalle, li pedina frontalmente, li accompagna affiancandoli e spesso li lascia andare per un po', distanti, osservando da lontano le andature, i suoni dello scalpiccio. Ci fa percepire il clima umido che popolano, l'aria sudata di palestre e spogliatoi, le voci concitate di brevi partite a football, i suoni di un pianoforte o di una chitarra, le voci impilate di una mensa, la campanella che trilla come se scandisse un'ora d'orologio qualsiasi piuttosto che un comando. Compie lenti giri di valzer a corteggiare un'età fondamentale, nella quale non si può essere abbandonati.
Perché, oltre all'insegnamento scolastico, c'è anche quello civico e sentimentale, che non può ridursi a un dito infilato in bocca e a un sorriso provocante e scaltro.
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