Recensione la contessa bianca
Recensione a cura di GiorgioVillosio
Ha un titolo fuorviante questo film di Ivory, che evoca stranamente il romanzo di appendice e il feuilleton ottocentesco, se non addirittura la telenovela. Ed è forse per questo che gli uffici pubblicitari della produzione tendono a spacciarlo per "una grande storia d'amore", calcando i toni sugli aspetti erotico/sentimentali, che vi compaiono, invece, in modo molto sfumato.
Di antiquato, se vogliamo, un po' oleografico, potremmo trovare una certa lentezza e la mancanza di ritmo della narrazione, appesantita da reiterazioni varie. Anche se ciò potrebbe addebitasi non tanto al "bradipismo" della regia, quanto alla matrice orientale, essendo la vicenda derivata da un romanzo giapponese, di Junichiro Tanizaki, autore del "Diario di un vecchio pazzo".
Orientaleggiante è anche il calligrafismo del protagonista, che ambisce a costruire all'interno del suo locale un mondo utopico di perfezione virtuale; non morale, ma maniacalmente estetizzante, come nella dimensione di sogno in cui la cecità lo ha relegato, quasi a volersene affrancare.
Per raggiungere il suo intento, però, stante la grave infermità, ha bisogno di una presenza a fianco, di un alter ego mentore e amoroso che lo affianchi nel difficile compito. Come arrivi ad identificare tale figura nella Contessa russa decaduta al ruolo di entraineuse, non risulta ben chiaro.
Quasi per una folgorazione medianica, o per transfert, il giovane diplomatico, divenuto cieco per attentati costati la vita a moglie e figlia, individua nell'aristocratica "belle de jour" la carta vincente del suo nuovo destino, facendone la stella del suo locale. Del quale bisogna parlare, ovviamente, in chiave puramente simbolica, non potendosi riconoscere all'ambiguo, frivolo e vizioso bistrot "La Contessa Bianca" una patente di vera nobiltà.
Mentre, in effetti, costituisce l'evidente metafora di un microcosmo solipsistico, dove l'individuo, sprovvisto di strumenti idonei e necessari a comunicare e a gestire un potere, si rifugia al chiuso di quattro mura, sicuro e protetto come nella sacca amniotica natale. Non a caso, sotto le ali protettive di una madre amorosa, nutrice e rassicurante.
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