lunedì 27 febbraio 2006

Recensione SESSION 9

Recensione session 9




Regia di Brad Anderson con David Caruso, Peter Mullan, Brendan Sexton III, Josh Lucas, Paul Guilfoyle

Recensione a cura di maremare

La vicenda prende le mosse da un appalto per la rimozione dell'amianto da un fatiscente manicomio; lo ottiene un gruppo di operai guidato da Gordon (uno strepitoso Peter Mullan).
Mentre lavorano alacremente per staccar via da pareti e pavimenti una delle più cancerogene sostanze conosciute, uno di loro si fa catturare dalla curiosità, e comincia a raschiare anche le memorie dell'edificio a forma di pipistrello. Facciamo così conoscenza della povera Mary, rinchiusa sin da ragazzina nell'ospedale psichiatrico a causa di un evento orribile sepolto nel suo passato.
Sarà attraverso l'ascolto dei vari nastri rinvenuti in un polveroso archivio che Mike (Steven Gevedon, co-sceneggiatore insieme ad Anderson) conoscerà, gradualmente, la storia di Mary e del Male che portava nascosto con sé, rivelato drammaticamente nell'ultima session di ipnosi, la numero 9, appunto.

È proprio questa doppia faccia del Male a dare efficacia alla narrazione e distinguere questo prodotto dagli altri di genere. Il Male non è uno dei tanti mostri splatter, ciononostante si respira, sono spore che si agitano nell'aria come un pulviscolo invisibile, ma reale. La minaccia è materiale anche se impalpabile, come l'amianto.
Il luogo è il vero protagonista del film, secondo l'assunto arcaico in base al quale fatti profondamente drammatici segnano il posto in cui sono accaduti, vi depositano il loro carico di negatività, che da fisico diventa metafisico, attraversa il tempo, si reitera, consolidandosi.

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