Recensione il tempo che resta
Recensione a cura di Mimmot
Amare la vita e vedersela sfuggire via a trent'anni. Deve essere terribilmente insopportabile ed anche molto ingiusto, per un uomo giovane e di successo, venire a sapere che è molto breve il tempo che gli resta ancora da vivere, mentre tutto intorno la vita continua, mentre il tempo che scorre diventa ogni giorno sempre più incombente, ed il desiderio di lasciare una traccia di sè si fa sempre più impellente, come la necessità di dare un senso alla fine imminente, dedicando "il tempo che resta" a cercare di capire cosa fare di sè.
Due sono i temi che François Ozon affronta con questo film: il senso della sofferenza umana e l'omosessualità.
Ma mentre il primo pregna tutta la storia ed è espresso, in tutta la sua drammaticità, in modo profondamente umano, senza eccessi ma con ricchezza di sfumature narrative, il secondo non viene assolutamente problematizzato, costituendo solo un piccolo dettaglio, una caratteristica del protagonista come un'altra; il protagonista non ha avuto nessuna difficoltà ad essere accettato per quello che è, nè in famiglia e nè tanto meno nel suo dorato ambiente sociale.
Non è dunque l'orientamento sessuale del protagonista a costituire il nucleo principale della storia, ma il tema della malattia che lo condanna alla morte, con tutto ciò che di doloroso e di devastante procura nell'animo e nella mente di chi sa che è arrivato alla fine del viaggio; ma anche della nuova sensibilità e della nuova consapevolezza di sè che coglie chi decide di intraprendere l'ultimo tratto del percorso con un gesto d'amore verso gli altri, lasciando al di fuori del dolore chi si ama, un po' per non mostrare la propria fragilità e le proprie paure e un po', forse, anche per rimettere in ordine sentimenti ormai distrutti.
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