Recensione l'ospite inatteso
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Recensione a cura di Mimmot
Piccolo, grande (ed inatteso) film, "L'ospite inatteso" è una di quelle (ormai rare) pellicole che hanno il grande pregio di rivoltarti l'animo e di restarti impresso nella memoria anche parecchio tempo dopo che la parola "fine" è apparsa sullo schermo; una pellicola che regala momenti molto intensi, a volte drammatici, a volte divertenti, che sa parlare di gente e alla gente, con l'obiettivo di svelare sentimenti che convergono nelle solitudini.
Una pellicola che vuole essere (ed è) cinema civile e di denuncia verso una Nazione che si diceva orgogliosa di incarnare gli ideali di libertà e di democrazia, di tolleranza e di solidarietà e che invece ha fatto del problema dell'immigrazione, dopo l'11 settembre, una realtà desolante che dimentica e discrimina l'uomo.
Una pellicola che racconta un fatto accaduto all'ombra della Statua della Libertà, che per lungo tempo e per tanti poveri emigranti ha rappresentato l'emblema e il simbolo del "sogno americano": un sogno promesso ma difficilmente raggiungibile.
Protagonista è il sessantenne e misantropo professore universitario di economia, Walter Vale.
Avvizzito e rinunciatario, rinchiuso nel suo angusto microcosmo, nel quale si è ripiegato dopo la morte della moglie, valente pianista di musica classica, sembra aver perso la voglia di vivere e ogni piacere della vita.
Da cinque anni, ormai (dalla morte della moglie), si trascina tra le stesse, monotone lezioni che, svogliatamente ripropone all'università e le inutili ripetizioni di pianoforte, che si ostina a prendere, forse perché ancora prigioniero del ricordo della moglie, nonostante sia profondamente negato e abbia scarse possibilità di imparare a suonare lo strumento.
La sua vita, però, subisce un profondo cambiamento quando, riluttante, si vede costretto a lasciare il Connecticut e a recarsi a New York per presenziare ad una conferenza socio/economica, in sostituzione di un collega malato.
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