venerdì 26 febbraio 2010

Recensione AMABILI RESTI

Recensione amabili resti




Regia di Peter Jackson con Mark Wahlberg, Rachel Weisz, Susan Sarandon, Saoirse Ronan, Stanley Tucci, Nikki SooHoo, Amanda Michalka

Recensione a cura di Luke07 (voto: 7,0)

"Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre del 1973".

Susie è una ragazzina di quattordici anni che, di ritorno a casa, viene adescata dal suo aguzzino, il vicino di casa George Harvey, che la stupra barbaramente per poi farne a pezzi il cadavere. Da quel momento la piccola Susie segue le vicende terrene che seguono la sua morte dal suo cielo, un mondo intermedio a metà strada tra la terra e il paradiso; assiste quindi, senza però poter intervenire, al dolore della propria famiglia, alle difficoltà incontrate dalla polizia che indaga sul suo caso e all'amicizia che nasce tra il ragazzo dei suoi sogni e la strana compagna di scuola, Ruth. Il tutto mentre il suo assassino pondera un altro omicidio.

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Recensione IL MESTIERE DELLE ARMI

Recensione il mestiere delle armi




Regia di Ermanno Olmi con Hristo Jvkov, Sergio Grammatico, Dimitar Ratchkov

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 10,0)

Nel 1526 l'esercito del Sacro Romano Impero di Carlo V discende attraverso l'Italia con l'intento di arrivare a minacciare lo Stato pontificio. A difendere i territori del Papa emerge la figura di Giovanni de' Medici, uomo dissoluto ma dalla tempra eroica.
Si tratta di un personaggio circonfuso da un alone leggendario, passato alla storia anche come "Giovanni delle bande nere". I Gonzaga di Mantova, insieme al duca d'Este di Ferrara, tramano di nascosto a favore dei loro territori, lasciando campo libero alle truppe imperiali dei Lanzi.
Giovanni de' Medici è solo; viene infine tradito dal duca di Ferrara Alfonso I d'Este il quale, in cambio di favori politici da parte dell'Impero e di un matrimonio combinato, fa omaggio al generale Frundsberg di quattro cannoni "di ultima generazione".
Proprio da uno di questi cannoni Giovanni viene ferito a una gamba, durante un agguato. Mentre la cancrena avanza, la sua agonia viene descritta come una passione del corpo e dello spirito.

Il primo messaggio che arriva da questo magnifico film, di grandiosa compostezza formale, riguarda la condanna delle armi. Esso è esplicito, sin dalla citazione iniziale di Tibullo, che costituisce un'inequivocabile e netta condanna delle armi - prima ancora che della guerra, dell'istinto bellico, o delle pulsioni di violenza – come flagello per l'umanità.
Di tutte le armi: non solo quelle da fuoco (che sembrerebbero a prima vista le sole ad essere oggetto di condanna da parte del film). Del resto va osservato che la scelta di Olmi è ricaduta su una citazione latina – proveniente da un'epoca in cui le armi da fuoco erano sconosciute.

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giovedì 25 febbraio 2010

Recensione ALICE NELLE CITTA'

Recensione alice nelle citta'




Regia di Wim Wenders con Rüdiger Vogler, Yella Rottländer, Liza Kreuzer, Eda Kochl

Recensione a cura di Giordano Biagio

Philippe Winter (Rudiger Vogler), è un giornalista tedesco in cerca di un'occasione editoriale in grado di fargli esprimere la sua poetica più profonda. Il suo giornale gli dà questa opportunità: entro quattro settimane deve consegnare un libro alla redazione di New York, ambientato negli Stati Uniti, sul tema del paesaggio americano.
Il giornalista però, dopo essersi allontanato da New York e aver visitato altre città degli Stati Uniti, scopre che non gli riesce proprio di scrivere, nonostante il suo sguardo esplorativo sia sempre attento e vigile nel ricercare cose significative o suggestive.
Nel paesaggio che Philippe vede manca un vero e proprio soggetto ispiratore, qualcosa in grado di procurargli delle visioni poetiche. Philippe preferisce allora scrivere il racconto in una modalità iconica, attraverso la fotografia, facendo sì che la riproduzione visiva di ciò che lo colpisce venga fatta da uno strumento terzo, meccanico, qual è la sua vecchia Polaroid.

Finito il lavoro e ritornato a New York, nella sede distaccata del suo giornale per consegnare le fotografie, Philippe si vede respingere il reportage fotografico perché non corrisponde all'accordo fatto; il contratto prevedeva una storia scritta, da consegnare in breve tempo alla redazione.
Philippe, deluso, decide di ritornare in Europa ma all'aeroporto di New York incontra una connazionale di nome Liza (Lisa Kreuzer) con la figlia Alice (Yella Rottlander) di nove anni che cambieranno profondamente il suo stato esistenziale.
A causa di uno sciopero del personale di bordo, i tre a New York non trovano un aereo disponibile per la Germania e sono quindi costretti a prenotare un volo di ripiego su un aereo che parte il giorno dopo per Amsterdam. Philippe viene invitato da Liza nel suo appartamento dove trascorrerà la notte dormendo con lei.

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mercoledì 24 febbraio 2010

Recensione NIGHTMARE - DAL PROFONDO DELLA NOTTE

Recensione nightmare - dal profondo della notte




Regia di Wes Craven con John Saxon, Heather Langenkamp, Amanda Wyss, Jsu Garcia, Johnny Depp, Robert Englund, Ronee Blakley, Charles Fleischer, Joseph Whipp

Recensione a cura di pompiere (voto: 9,0)

Il sogno è materia preferenziale del cinema. Le pellicole piantano sentitamente le loro basi nel sogno e da sempre possono considerarsi come le assolute detentrici di una forza onirica senza pari.
"Nightmare – Dal profondo della notte" ha preso spunto da una serie di articoli apparsi sul "L.A. Times" alla fine degli anni Settanta che parlavano di giovani che erano morti durante un incubo e narra le gesta di un gruppo di liceali capitanati da Nancy (l'esordiente Heather Langenkamp) i quali, dopo essersi accorti di avere tutti la stessa ricorrente visione, vengono assaliti per davvero dalla creatura che gli compare in sogno. Il mostro ha un nome, Fred Krueger, è armato di un guanto a cui sono incollati coltelli affilatissimi, e i suoi assillanti e distruttivi propositi sembrano nascondere una verità fino a quel momento celata.

"Nightmare" è pervaso da una serie di idee meravigliose sulla messa in scena. Ombre cinesi si alternano a sipari strappati, vapori che sembrano fumi dell'inferno nascondono pareti di casa che cedono come tela dietro la spinta del Male, coperchi di contenitori della nettezza urbana che rotolano in strada si avvicendano a corridoi scolastici vuoti e troppo lunghi invasi dal fogliame autunnale, una vasca da bagno che degenera in un fondale marino è uno spettacolare luogo da incubo alla pari dei gradini melmosi e appiccicosi che cedono sotto il peso di ragazzine in fuga. E c'è pure un letto mostrato come turpe sfintere (quando si dice gli effetti dannosi della televisione...) o riverberante bara.

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martedì 23 febbraio 2010

Recensione A SINGLE MAN

Recensione a single man




Regia di Tom Ford con Colin Firth, Julianne Moore, Matthew Goode, Ginnifer Goodwin

Recensione a cura di kowalsky (voto: 6,5)

"È un freddo promemoria, un giorno più di ieri, un anno in più dell'anno trascorso."

A cosa serve il cinema? Certo non a liberarsi di astruse etichette, guardacaso pensate ad alimentare un marketing cosiddetto alternativo (quello del cosiddetto "cinema gay") destinato per ovvie ragioni a rimanere tale. Se poi un film passa nei circuiti internazionali, ottiene un grande consenso ai festival (come la Mostra del Cinema di Venezia) e rappresenta l'esordio di un autorevole stilista dell'alta moda, tutto cambia.
Non esiste un film per addetti e non, l'importante è l'atteggiamento neutrale che si assume nei confronti di una certa pellicola. Altrimenti dovrebbero tutti rinunciare, per ragioni di fideismo sessuale, al 40% dei classici letterari di tutti i tempi, e questo vale anche per l'inglese Christopher Isherwood, autore di un capolavoro della maturità come "A single man" (1964).
L'esordio alla regia di Tom Ford, noto designer per Gucci e Yves-Saint Laurent, appassionato da sempre di cinema, è esattamente quanto ci si aspetta e al tempo stesso non si conosce di un professionista dell'alta moda.
Non si tratta certo di un film morboso, nato per provocare scandalo o discussioni su temi ormai consueti, ma è anche un esordio sorprendente, perchè non è da tutti affidarsi a un autore tardo- romantico e decadente come Christopher Isherwood, e a quello che molti reputano il suo romanzo più intimista e commosso.
Vi sorprenderà ritrovarvi il nome di Aldous Huxley - amico intimo di Isherwood dopo la sua lunga permanenza berlinese (quella che ha segnato profondamente la sua vita e carriera artistico-letteraria) e le reminescenze di "Un mondo nuovo", uno dei più affascinanti testi di fantascienza di sempre.
Se c'è un aspetto che ormai contamina il cinema contemporaneo è l'assoluta veridicità metaforica della fantascienza, per questo una frase del professor George - protagonista del film - ovvero "Se ci aspetta un mondo senza sentimenti, non è il mondo in cui vorrei vivere" sembra indirettamente citare un classico del cinema come "L'invasione degli ultracorpi", quando il medico difende con tutte le sue forze la propria autonomia emotiva e "terrena" dalla morte/vita predisposta dagli organismi di un'altro mondo.

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Recensione WAZ

Recensione waz




Regia di Tom Shankland con Stellan Skarsgård, Melissa George, Ashley Walters

Recensione a cura di Anna Maria Pelella

Eddie Argo e la collega Helen Westcott sono incaricati di svolgere le indagini su un caso di omicidio: una donna incinta è stata ritrovata con le estremità bruciate e le lettere WAZ incise sulla pancia. Prima della fine della notte i due scopriranno che anche il suo compagno, un delinquente già noto alle forze dell'ordine, è stato ucciso. Da quel momento in poi i ritrovamenti si susseguono e Eddie comincia a sospettare di essere a conoscenza dell'identità dell'autore della catena di delitti.

Non è facile riverdire il torture/thriller. Non dopo "Saw", di certo. Infatti questo tentativo si può dire solo in parte riuscito; non tanto per mancanza di coraggio da parte del regista, che non lesina certamente in immagini cruente, per la gioia dei più giovani ed amanti dell'esposizione di budella, quanto per la reale impossibilità di dire ancora qualcosa sul genere senza ripetersi.

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lunedì 22 febbraio 2010

Recensione LOURDES

Recensione lourdes




Regia di Jessica Hausner con Léa Seydoux, Sylvie Testud, Bruno Todeschini, Irma Wagner

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 9,0)

L'asfittica distribuzione cinematografica nostrana, che penalizza di anno in anno più grevemente il cinema d'autore estero che non provenga dai soliti registi accreditati, ancora ci regala piccoli miracoli.
È sempre più raro infatti che entro le pieghe della nostra distribuzione si riescano ad insinuare film come questo "Lourdes" – ed è lecito sospettare, purtroppo, che un film di analogo valore probabilmente non si sarebbe visto da noi in sala, se non avesse potuto contare sul soggetto e soprattutto sul titolo, che promettono a chi lo distribuisce un certo risultato commerciale, sia pur di nicchia.
È poi un altro piccolo miracolo constatare come dall'Austria arrivi una nuova autrice, questa Jessica Hausner, dopo il pluripremiato (assai meritevolmente, a nostro avviso) Michael Haneke: un'autrice che come il suo connazionale raccoglie e si fa portatrice della fiaccola di un certo cinema austero, asciutto ed essenziale, un cinema che, lavorando di sottrazione, sa esaltare la potenza delle immagini e la forza delle suggestioni in esse contenute. È un cinema che segue un fil rouge tipicamente europeo, e segue una tradizione che va da Dreyer a Kaurismaki ed Haneke, passando per Bresson, Buñuel, i fratelli Dardenne.
Facendo questi nomi, abbiamo ricompreso tutti coloro cui la critica sinora ha correlato il film della Hausner: ci riferiamo in particolare a Dreyer, Buñuel e soprattutto Kaurismak, a cui lo sguardo che la Hausner dimostra in "Lourdes" di padroneggiare sembra in particolare apparentato, per quella peculiare ironia, insieme cinica e compassionevole, di cui è intrisa una messa in scena sobria e pacata, distaccata ma controllata e lucidissima.

La vicenda ruota attorno a Christine, una giovane donna affetta da sclerosi multipla, assai dolce e – cosa che mi pare non sia stata adeguatamente sottolineata altrove – molto umile anche nel momento in cui dichiara candidamente la sua invidia nei confronti di coloro che sono liberi dal tremendo handicap fisico che le impedisce l'uso dei quattro arti.
Christine si trova a Lourdes per distrazione. Se non partecipasse a questi viaggi occasionali, la sua vita sarebbe totalmente vuota. Per lei questi viaggi rappresentano le uniche occasioni per vivere. E' una donna molto sola, tremendamente sola: ma che la solitudine non ha incattivito.

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Recensione LA CAPA GIRA

Recensione la capa gira




Regia di Alessandro Piva con Paolo Sassanelli, Dino Abbrescia, Teodosio Barresi, Dante Marmone, Mino Barbarese

Recensione a cura di peucezia

Uscito in sordina a fine 1999, Nastro d'argento per la miglior regia esordiente nel 2000, grande successo alla Berlinale nello stesso anno, il film d'esordio di Alessandro Piva, regista di origine barese trapiantato a Roma, può considerarsi a pieno titolo un "caso" di successo nel panorama cinematografico italiano.
Pur realizzato con un budget estremamente limitato, ha saputo attirare un grosso numero di spettatori non soltanto a Bari e provincia, ma anche a chilometri di distanza, superando così la barriera linguistica costituita dal parlato in stretto dialetto barese finalmente sdoganato non come caricatura (alla Banfi o all'Abatantuono, per intenderci), ma nella sua vera essenza.

La storia, nell'unità temporale aristotelica di 24 ore, segue le vicissitudini di due balordi vicini alla mala locale tra smercio di stupefacenti e bravate, passando per il vizietto dei videopoker e delle scorribande notturne a tutto gas per la città.
La Bari coprotagonista appare nella fredda alba di un inverno non meglio identificato lungo i binari di periferia, nella notte tra lungomare e bassi del borgo antico, immobile e distaccata, attrice e vittima nello stesso tempo.

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venerdì 19 febbraio 2010

Recensione LA PRIMA COSA BELLA

Recensione la prima cosa bella




Regia di Paolo Virzì con Valerio Mastandrea, Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli, Claudia Pandolfi, Dario Ballantini

Recensione a cura di JackR

"La Prima Cosa Bella" di Virzì è un grande film. Finalmente un buon cast viene supportato da una sceneggiatura solida, come forse solo "Romanzo Criminale" negli ultimi anni è stato in grado di fare; un film d'altri tempi per ambizioni e risultati: un gigante sulle spalle di giganti, o poco ci manca.

La storia, attraverso un sapiente uso del flashback, si muove su due piani temporali: il presente, in cui due fratelli Bruno e Valeria (Valerio Mastandrea e Claudia Pandolfi) si riuniscono al capezzale della madre Anna (Stefania Sandrelli), morente ma ancora piena di vita, e sono costretti a fare i conti con un passato che ha portato lentamente alla disgregazione dei loro rapporti ed ha inesorabilemnte influenzato tutte le loro scelte.

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Recensione ZABRISKIE POINT

Recensione zabriskie point




Regia di Michelangelo Antonioni con Mark Frechette, Daria Halprin, Rod Taylor, Paul Fix, Bill Garaway

Recensione a cura di Mimmot

L'idea di girare un film in America, che sposasse senza riserve la causa dei giovani non omologati dal "sistema", incentrato sulle vicende personali e particolari di una giovane donna e di un ragazzo, era venuta ad Antonioni durante una delle sue permenenze negli Stati Uniti.
Ma è stata la scoperta di un luogo chiamato Zabriskie Point, nel cuore della Death Valley, la Valle della Morte, il punto di massima depressione geologica degli Stati Uniti, che ha fatto concretizzare l'idea e ha gettato le basi di quello che, a ragione, può essere definito l'espressione massima di un autore al culmine della sua percezione creativa, sui temi e le contraddizioni del nostro tempo, in un paese come l'America che è il luogo dove si concentrano allo stato puro alcune verità essenziali, ma anche il paese dove si dilata metaforicamente la realtà che configura il dramma esistenziale di molti.

Certo con "Zabriskie Point", Antonioni non esaurisce tutto quello che può essere detto sull'America, sui giovani e sulla società dei consumi, sulle tradizioni americane e sulla faticosa ricerca del nuovo.
"Zabriskie Point" è una storia semplice che parla di cose complesse, è una favola e una fantasticheria, un sogno e una profezia, un'astrazione e un'utopia, per cercare di dipanare il filo di un discorso che si sviluppa attorno ad una realtà difficile e violenta, che quotidianamente assedia la vita delle nuove generazioni e invalida sul nascere le loro speranze di cambiamento delle strutture della società.
Il film non si incentra tutto attorno alla vicenda di Daria (Daria Halprin) e Mark (Mark Frechette) - i due giovani, sconosciuti protagonisti - e di qualche altro soggetto più o meno sistemato all'interno di questo tipo di mondo.
E in parte non è neppure un film sulla contestazione giovanile, che a quel tempo scuoteva l'America e non solo l'America. Ma è un film che, pur partendo da un meeting studentesco, segue un itinerario completamente diverso, per parlare di libertà individuale e di libertà assoluta.
Il sogno, impossibile, di chi fugge dal denaro, dal consumismo, dall'establishment, dal potere, e lo annienta solo nell'immaginazione.

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giovedì 18 febbraio 2010

Recensione I COME WITH THE RAIN

Recensione i come with the rain




Regia di Tran Anh Hung con Josh Hartnett, Elias Koteas, Lee Byung-hun, Takuya Kimura, Shawn Yue

Recensione a cura di Anna Maria Pelella

"Ti perdono. Tu non sai quello che fai"
"Non voglio il tuo perdono"

Kline è un detective che combatte il lungo strascico lasciatogli dallo scontro con un serial killer che usava i corpi delle sue vittime per delle installazioni. Accetta così l'incarico di trovare Shitao, il figlio di un ricco imprenditore, che è scomparso nelle Filippine.
Seguendo le sue tracce si trova a Hong Kong dove Meng Zi, un suo amico che lavora per le forze di polizia locali, lo aiuta nelle ricerche.
Nel frattempo Meng Zi lavora al caso di un piccolo boss del luogo, Su Dongpo, la cui fidanzata tossicodipendente è sparita durante un inseguimento.

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mercoledì 17 febbraio 2010

Recensione EDWARD MANI DI FORBICE

Recensione edward mani di forbice




Regia di Tim Burton con Johnny Depp, Winona Ryder, Dianne Wiest, Anthony Michael Hall, Vincent Price

Recensione a cura di pompiere (voto: 9,0)

Un anziano inventore (Vincent Price) dà vita a un ragazzo chiamato Edward (Johnny Depp) ma muore prima di finirlo, lasciandogli delle forbici al posto delle mani.
Rimasto incompiuto, il giovane riceverà la visita di Peg (Dianne Wiest), una rappresentante Avon, che si recherà al maniero dove vive e deciderà di invitarlo a casa sua, situata nel sobborgo confinante, per salvarlo dalla solitudine.
Ben presto le vicine curiose cercheranno di conoscere meglio il "Frankenstein" di turno che intanto si invaghirà, a suo modo, di Kim (Winona Ryder), la figlia di Peg.

I titoli di testa si presentano ai nostri occhi mostrando un incipit colorato e vertiginoso alla maniera di alcuni temi cari al Saul Bass hitchcockiano. La scenografia definisce da subito, in modo molto concreto, l'impalcatura narrativa attraverso meditati componenti architettonici: il castello gotico riflette l'indole intricata, disordinata e asociale di Edward, mentre le case del ridente villaggio, colorate in varie tonalità pastello coi loro giardini perfettamente spianati e innaffiati, provano l'uniformazione sociale dei loro abitanti e la loro simulata indipendenza.
Quelli di "Edward mani di forbice" sono giardini messi in rilievo da motivi e valenze già conosciute in "Velluto blu" di Lynch: all'apparenza ideali per essere sfruttati dai bambini come parco giochi o perfetti come luogo tranquillo di rigenerazione, anche il verde burtoniano è simbolo di un'America (preferibilmente provinciale) ingannevole che nasconde in profondità realtà spaventose, tormentate e violente.
La denuncia è rivolta all'assillo tutto stelle e strisce votato alla ricerca dello stile di vita perfetto, vagamente condizionato da modelli televisivi. Un'ideologia che tende a mantenere fuori dai giochi anche gli storici "nemici" di colore (l'unico cittadino di pelle nera è un poliziotto che simpatizza subito con Edward, comprendendo la sua condizione) e della quale si percepisce l'indubbia decadenza, se non l'immutabile distanza.

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martedì 16 febbraio 2010

Recensione AMERICAN FAUST: FROM CONDI TO NEO-CONDI

Recensione american faust: from condi to neo-condi




Regia di Sebastian Doggart con -

Recensione a cura di K.S.T.D.E.D.

"American Faust" è il secondo lavoro cinematografico di Sebastian Doggart, nonché il suo secondo lavoro cinematografico su Condoleeza Rice, 66° Segretario di Stato degli Stati Uniti, sotto l'amministrazione Bush. È "Courting Condi", infatti, il titolo della prima pellicola del regista britannico, che, muovendosi tra fiction e documentario, racconta le vicende di un uomo innamorato della Rice e intenzionato a conoscere ogni suo aspetto al fine di conquistarla.
Se nel suo primo lavoro Doggart sfrutta la finzione per costruire quello che sarà poi un documentario, questa volta, invece, alza il tiro e per la sua invettiva costruisce un documentario dalla struttura decisamente classica.

La pellicola di Doggart si pone l'obiettivo di inquadrare il soggetto scelto da tutti i punti di vista, sì da poterne fare un'analisi a 360 gradi, completa ed esaustiva. Gli eventi narrati ricoprono un arco temporale molto ampio, più precisamente dagli anni '50 ad oggi, o ciò che è lo stesso, dai primi anni di vita e formazione di Condoleeza Rice fino agli ultimi accadimenti politici che l'hanno vista protagonista, passando per gli studi e la carriera di colei che diverrà la prima donna afro-americana a ricoprire il ruolo di segretario di stato degli Stati Uniti.

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