Recensione il mestiere delle armi
Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 10,0)
Nel 1526 l'esercito del Sacro Romano Impero di Carlo V discende attraverso l'Italia con l'intento di arrivare a minacciare lo Stato pontificio. A difendere i territori del Papa emerge la figura di Giovanni de' Medici, uomo dissoluto ma dalla tempra eroica.
Si tratta di un personaggio circonfuso da un alone leggendario, passato alla storia anche come "Giovanni delle bande nere". I Gonzaga di Mantova, insieme al duca d'Este di Ferrara, tramano di nascosto a favore dei loro territori, lasciando campo libero alle truppe imperiali dei Lanzi.
Giovanni de' Medici è solo; viene infine tradito dal duca di Ferrara Alfonso I d'Este il quale, in cambio di favori politici da parte dell'Impero e di un matrimonio combinato, fa omaggio al generale Frundsberg di quattro cannoni "di ultima generazione".
Proprio da uno di questi cannoni Giovanni viene ferito a una gamba, durante un agguato. Mentre la cancrena avanza, la sua agonia viene descritta come una passione del corpo e dello spirito.
Il primo messaggio che arriva da questo magnifico film, di grandiosa compostezza formale, riguarda la condanna delle armi. Esso è esplicito, sin dalla citazione iniziale di Tibullo, che costituisce un'inequivocabile e netta condanna delle armi - prima ancora che della guerra, dell'istinto bellico, o delle pulsioni di violenza – come flagello per l'umanità.
Di tutte le armi: non solo quelle da fuoco (che sembrerebbero a prima vista le sole ad essere oggetto di condanna da parte del film). Del resto va osservato che la scelta di Olmi è ricaduta su una citazione latina – proveniente da un'epoca in cui le armi da fuoco erano sconosciute.
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