Recensione nikita
Recensione a cura di gerardo (voto: 8,5)
Coinvolta insieme a un gruppo di tossicodipendenti in una rapina a una farmacia finita in strage, Nikita, tossica in crisi d'astinenza e in apparente stato confusionale, ammazza a sangue freddo un poliziotto prima di essere arrestata. Di lei si sa solo questo: Nikita è una ragazza selvaggia, dagli improvvisi scatti brutali e animaleschi incontrollabili che la destano da stati quasi catatonici, senza un passato chiaramente identificabile che non sia quello della giungla urbana malavitosa in cui vive e nella quale l'unico segno di riconoscimento possibile è il nomignolo "Nikita" con cui la donna si autoidentifica.
Nikita è, insieme, un nome in codice, di battaglia, tanto semplice quanto simbolico ed efficace, un nome evocativamente fumettistico, quasi fosse, la ragazza, la personificazione di un anime, di un manga; è, ancora, una sorta di nickname da videogioco che sintetizza la virtualità individuale nella cultura informatica che va prendendo sempre più piede nella seconda metà degli anni '80, periodo nel quale si sviluppa la trama del film.
È proprio il concetto d'identità uno dei principali fondamenti del film: Besson è abile nel non svelarla mai, pur lasciando intendere che Nikita abbia un passato anagrafico certo e certificato: prima di iniziare il programma di "recupero", Nikita, immobilizzata come una matta su una sedia nel bel mezzo di un grande camerone spoglio del carcere, prefigurando la propria fine, in un momento di straziante disperazione, invoca la madre, simbolo universalmente garante d'identità.
E ancora, appena dopo il risveglio dalla "morte", l'agente dei servizi segreti, che diventerà di lì in seguito il suo ambiguo precettore, le mostrerà le foto del suo funerale, foto nelle quali Nikita riconosce una persona a cui è fortemente legata da tempo: esiste, cioè, una vita esterna della ragazza riconoscibile attraverso queste tracce e c'è, soprattutto, lo Stato che conosce la sua vera identità. Essa gli permette di processare e condannare la donna e, infine, di disporre della stessa identità a proprio piacimento tanto da privargliela, cancellandola e sostituendola con altre di proprio comodo e a proprio uso e consumo.
Besson situa queste tracce identitarie subito prima e subito dopo la cancellazione della Nikita ufficiale, di quella donna che aveva una riconoscibilità anagrafica documentata, anche se non rivelata. Sottolinea in tal modo la drammaticità di un momento di non ritorno e accentua i toni tragici di un passaggio esistenziale incontrovertibile nella vita della donna, conferendo alla sfera umana della protagonista un destino ineluttabile.
Condotta in catene nell'aula del tribunale e scortata da un corposo cordone di sicurezza, Nikita diventa iconograficamente una novella Giovanna d'Arco, selvaggia e sanguinaria – la stessa che Besson racconterà di lì a un decennio –, al cui misticismo medievale si sovrappone un'animalità, tossica e sconvolta, devalorizzata, pre-urbana ma post-moderna e (cyber)punk(abbestia) di fine '900. In questa rappresentazione estetica il personaggio di Nikita ricorda per certi versi Pris e le replicanti di "Blade Runner".
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