Recensione somewhere
Recensione a cura di Giordano Biagio
Un famoso attore americano, Johnny Marco (Stephen Dorff), durante un party con degli amici si frattura un polso e nella convalescenza viene attraversato da una crisi di identità che lo porta a interrogarsi, un po' confusamente, sul senso della propria esistenza.
Il malessere nell'attore si dipana in modo pungente, tra numerose dormite nella stanza d'albergo e stanchi intrattenimenti erotici con la lap dance eseguita da due formose ragazze, il tutto condito da ambigui massaggi e da paradossali cure estetiche del viso.
L'attore vive separato dalla moglie, e la sua bella figlia undicenne Cleo (Elle Fanning) all'improvviso a trovarlo per qualche giorno, fermandosi nella sua stanza d'albergo a Hollywood, nel famoso Chateau Marmont; i pochi giorni di permanenza della ragazza sono sufficienti a cambiare il modo abitudinario di vivere di Jonny Marco, fino a quel momento denso di emozioni troppo leggere e vaporose, privo di sentimenti autentici. L'amore della figlia gli dà forza identificativa con la giovinezza più innocente, senso di pienezza psichica, scacciandogli il pensiero della morte e dell'inutilità del suo lavoro, e lo riporta a desiderare cose di una certa profondità, a pensare a progetti e passioni nuove capaci di soddisfare le sue potenzialità affettive più inconsce e importanti, è una forza che sembra capace di farlo uscire dalle emozioni di routine, quelle ripetitive e sempre più scontate che offre la vita di Hollywood.
La figlia Cleo, pur nel tormento psichico che una separazione rilascia, diventa a sua stessa insaputa un simbolo identificativo, un sembiante capace di dare impulsi di grande vitalità e senso, di rianimare il padre-bambino e depresso di una energia sconosciuta, che risulterà ricompositiva rispetto alle sue dissociazioni psichiche da star hollywoodiana.
Johnny Marco ama le Ferrari e ne possiede l'ultimo modello. L'automobile sembra completare il cerchio stretto e alienante della sua vita; all'inizio del film compie diversi giri su un percorso insignificante, terroso, ripetendo insistentemente la stessa manovra, quasi a significare l'assurdità e l'ossessività del legame che Johnny ha con la vita hollywoodiana. L'automobile in seguito funzionerà come metafora del suo dinamismo relazionale, facendo tutt'uno con l'esistenza quotidiana, quella più esterna e superficiale, sempre veloce e frenetica, senza pause poetiche, precisa e scattante ad ogni appuntamento mondano come il motore della famosa fuori serie.
Ma Johnny Marco è circondato anche dal mondo volgare e banale della televisione, una realtà virtuale e di disinformazione, sempre assestata su indici d'ascolto del tipo a maggioranza evasiva, situati psicologicamente sulla soglia di una folle disintegrazione della verità e del pudore: aspetti che più estesamente caratterizzano per Sofia Coppola lo spettacolo nell'occidente dell'epoca attuale.
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