mercoledì 14 novembre 2012

Recensione ASPETTANDO IL MARE

Recensione aspettando il mare




Regia di Bakhtiar Khudojnazarov con Egor Beroev, Detlev Buck, Anastasia Mikulchina

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 5,0)

Esistono davvero i film da festival. E Marco Müller, neodirettore del festival del cinema di Roma nel 2012, ne sa qualcosa, se è vero che ha scelto, come film d'apertura della rassegna, una pellicola priva di richiamo commerciale, scelta in base al suo sedicente valore artistico, e che risulta a conti fatti artistoide. Un po' antipatica, anche, nella sua pretenziosità, coniugata a incapacità di trasmettere autentiche emozioni. "Aspettando il mare" è un film velleitario, intessuto di inquadrature e movimenti di macchina estetizzanti e "poetici", che aspira, nella sua deliberata lentezza, a veicolare profondi contenuti, in una cornice fitta di simboli abusati, di stilemi presi in prestito ad altri autori (Kusturica, soprattutto, ma anche Makhmalbaf), e di citazionismi smaccati ("Fitzcarraldo" di Herzog, con la sua celeberrima nave trainata su di una montagna).
"Aspettando il mare" è un film di produzione europea internazionale (Russia, Kazakistan, Francia, Germania, ecc.), diretto da un regista nato in Tagikistan, Khudojnazarov, noto al mondo per un film del 1999, "Luna papa", che riscosse all'epoca grande successo di critica. Confessiamo di non conoscere la carriera di Khudojnazarov, ma a onor del vero la visione di "Aspettando il mare" non ci lascia la sensazione che la lacuna da colmare sia grande.

Il film narra, con toni di commedia, la vicenda di Marat, capitano di una nave colata a picco durante una tempesta, che dopo alcuni anni torna al suo villaggio, un tempo baciato dal mare, che si trova ora circondato dal deserto. Il mare si è ritirato, quasi prosciugato a pozza di sale: al suo posto, si stende un'arida distesa di sabbia. In luogo del porto, un inutile aeroporto. Marat - spinto dal senso di colpa per non aver ascoltato un vaticinio, aver abbandonato la nave prima del naufragio, ed esser l'unico sopravvissuto alla tragedia in cui ha perso la vita anche la moglie - recupera il relitto, ormai spiaggiato, e si lancia nella folle impresa di ricondurlo al mare attraverso il deserto, trainandolo lentamente per mezzo di un argano. Intorno a lui, le vicende di alcuni personaggi, tra i quali il suocero e Tamara, la cognata innamorata di lui.
Tra un ballo scatenato in cui Marat sfoga il suo vitalismo di fronte agli allibiti compaesani (la follia salverà il mondo...), di scena surreale in scena surreale (la nave di volta in volta trainata da alcuni dromedari o da camion di passaggio), il film scorre, pianissimo, verso quel mare che un biblico terremoto farà infine "sgorgare" di nuovo dalla terra.

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