venerdì 16 novembre 2012

Recensione MANO NELLA MANO

Recensione mano nella mano




Regia di Valérie Donzelli con Valérie Donzelli, Jérémie Elkaïm, Valérie Lemercier, Eric Lartigau, Philippe Laudenbach, Béatrice De Staël, Katia Lewkowicz, François Rollin

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 9,0)

Che talento incantevole ha la giovane regista francese Valérie Donzelli. Dopo il grande successo di critica (internazionale) e di pubblico (in Francia) del suo "La guerra è dichiarata" (2011), la giovane transalpina torna a fare centro con il suo terzo lungometraggio, "Main dans la main", in concorso al festival del cinema di Roma 2012, incentrato anch'esso su opportunità e contraccolpi dei meccanismi di incontro e rottura dei legami affettivi. Applauditissimo dal pubblico al festival, sentiamo che questa perla avrà molta gloria ben al di là della cornice festivaliera.
"Main dans la main" ha le carte in regola per essere riconosciuto come un capolavoro della cinematografia francese contemporanea. La sua veste formale è quella di una commedia, caratterizzata da un inequivocabile french touch, intrisa di freschezza deliziosa, che strizza l'occhio a Buster Keaton e a Jacques Tati prescindendo dalla malinconia di entrambi.
La pellicola ha un andamento rapido e brioso, che si avvale di frequenti cambi di ritmo e invenzioni. E la Donzelli ha una capacità di svariare nei toni che sa di maestria consumata.

La pellicola mette in scena due personaggi che, non appena si imbattono l'uno nell'altra, vengono presi da quella che sembra una misteriosa patologia per cui non riescono a staccarsi l'uno dall'altra. Questa improvvisa "relazione" ha, come effetto collaterale, quello di mettere in crisi l'esclusività, totalizzante, con la quale entrambi vivono la relazione con un particolare "partner": Joachim con la propria sorella, Hélène con un'amica molto intima.
Di colpo, Joachim ed Hélène, loro malgrado, e senza in verità attrazione fisica, non possono fare a meno di stare assieme, compiere gli stessi gesti, di volta in volta imponendo l'uno all'altra le proprie azioni e decisioni.
E' un'invenzione visiva ricca, sullo schermo, di potenzialità strepitose. Ma si tratta di un assunto rischiosissimo. Infatti – viene da chiedersi non appena il bizzarro fenomeno si verifica – come farà la regista a reggere il film su questa buffa trovata, che potrebbe non tardare molto a rivelarsi stucchevole? E invece ce la fa; non diventa stucchevole. Il film è in continua ed esilarante evoluzione; l'intelligenza dello sviluppo drammaturgico è scoppiettante. Si avvale, in alcuni punti, di un ricorso (immaginifico) a una voce narrante, a un primo livello per imprimere decisi cambi di ritmo e procedere in avanti nella storia, ma a un secondo livello ciò imprime al racconto un'ulteriore prospettiva, straniata e "terza" fra personaggi e spettatore. E' lì che tra l'altro, inevitabilmente, il pensiero va un po' anche a Truffaut.

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