martedì 11 ottobre 2005

Recensione FRATELLI

Recensione fratelli




Regia di Abel Ferrara con Annabella Sciorra, Isabella Rossellini, Vincent Gallo, Chris Penn, Christopher Walken

Recensione a cura di fidelio.78

Sono stati molti i pareri discordi su questo film, ma il destino dei registi come A. Ferrara è quello di far discutere, nel bene o nel male o, in questo caso sarebbe meglio dire, al di la del bene o del male.
Alcuni lo ritengono l'ennesimo film sulla mafia, un'abile esercitazione manieristica, altri invece un'opera sincera, intensa ed innovativa.
D'altronde lo stesso Ferrara alla mostra di Venezia (dove questo film fu incredibilmente snobbato per assegnare il Leone d'Oro al discreto "Michael Collins" di N. Jordan) disse: "Il mio non è un film sulla mafia, il genere è usato come pretesto per parlare della vita, della morte, della religione e dei legami familiari".

La famiglia Tempio è composta da tre fratelli: il maggiore Ray (C. Walken), il secondo Chez (C. Penn) e il più giovane Johnny (V. Gallo); l'omicidio di quest'ultimo è l'evento dinamico che scatena la folle voglia di vendetta dei due fratelli maggiori.
Tutto in una notte e attorno ad un cadavere, durante la veglia funebre di una famiglia nell'America degli anni Trenta, tra le canzoni struggenti di Billie Holiday e gli idilli sublimi di Carlo Buti (realtà e idealità, tristezza e nostalgia).
Tutto in una famiglia, come gli Atridi (molti hanno infatti accostato giustamente questo film alle tragedie classiche greche), a farsi piaghe e a leccarsi ferite insanabili, tra flashback e degli altrove atroci più del momento presente.
Uomini implacabilmente prigionieri di un destino, di una condanna, di un'ossessione di peccato ed espiazione, di un'inquieta coscienza del male.
Il prete che visita la famiglia è a conoscenza della condanna e accenna alla possibilità di rompere il groviglio di morte non lavando il sangue col sangue, ma d'altra parte è convinto dell'impossibilità di questa azione, dentro a quel consolidato groviglio psicologico-morale di mafiosi immigrati, di delitto che porta follia che porta dentro altro delitto.
Per la prima volta inoltre in un film di mafia le donne fanno sentire la loro presenza, la loro voce, sono loro ad indicare la via della salvezza, ma restano inascoltate; per gli uomini della famiglia Tempio solo nella morte sembra esserci pace.
La misura tragica del film risiede tutta in questa condanna, in questa assenza di luce, in questo notturno dialogo con un Dio troppo lontano e con dei troppo ostili.

[...]

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