Recensione rebecca, la prima moglie
Recensione a cura di Laura Ciranna
La luna piena che fugge in un cielo nero, carico di presagi e tempeste imminenti. Un sentiero che si dipana fra curve tortuose. La sagoma di uno splendido castello, "segreto e silenzioso", su cui passa una nube, come "una mano scura davanti a un volto".
Questo non è l'inizio di un racconto di Poe o di Lovecraft, ma di una fiaba gotica affidata alle immagini, anziché alle parole. Questo è l'inizio di uno dei film più belli e meno conosciuti (quantomeno al grande pubblico) di Alfred Hitchcock.
Un film raffinatissimo e sottile, che ci avvolge nella sua atmosfera, che spaventa non solo con scogliere scoscese, ombre minacciose e silenzi insostenibili, ma soprattutto con la banalità del dramma proposto: una sposina ingenua e dolce (Joan Fontaine), schiacciata dai silenzi del marito (Laurence Olivier) che crede essere ancora innamorato della prima moglie, morta tragicamente in un incidente. Gente normale che si ritrova in situazioni oscure, persone ordinarie che covano dentro passioni nascoste e terribili.
Il teatro della vicenda è proprio la misteriosa magione di Manderley, che ci era stata presentata, fin dalle prime inquadrature, in una sequenza onirica e densa di fascino. E' qui che viene condotta, dopo una breve luna di miele spensierata, la nuova signora de Winter (alla quale non viene concesso un nome proprio), in quella che fu la dimora di "Rebecca - la prima moglie".
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