Recensione cargo 200
Recensione a cura di Severino Faccin
Il parallelo con l'impero romano è forse un po' azzardato parlando della caduta dell'impero sovietico ma se, come per il primo, il crollo è giunto quale epilogo a uno statu quo dove corruzione, indolenza, vizio, dissolutezza erano la regola, il 1984 (agli albori della Perestojka) rappresenta il punto di non ritorno oltre il quale, come avremmo assistito negli anni a venire, è franato un intero sistema che, essendosi retto su un equilibrio risicato e instabile, era destinato prima o poi a cedere.
È in questo passaggio cruciale che si situa la storia di "Cargo 200", un film tetro quanto impietoso verso l'ideologia marxista, condotto con i ritmi serrati del noir, dove la ferocia scoppia irrefrenabile a opera dello psicopatico capitano di polizia Zurov che, dopo avere ammazzato l'inserviente vietnamita di una distilleria clandestina ospitata in una dacia in una zona rurale non molto discosto dall'allora Leningrado, rapisce la giovane figlia del segretario del Comitato regionale del partito, Angelica, capitata casualmente nella dacia insieme a Valera, un ragazzo incontrato in discoteca.
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