lunedì 7 settembre 2009

Recensione RADIO AMERICA

Recensione radio america




Regia di Robert Altman con Woody Harrelson, John C. Reilly, Tommy Lee Jones, Virginia Madsen, Meryl Streep, Kevin Kline, Lindsay Lohan, Lily Tomlin

Recensione a cura di kowalsky (voto: 5,0)

L'ultimo film di Altman è un vero e proprio testamento spirituale e artistico a un mondo ormai lontano, a un'America che vive sostanzialmente il difficile (a dire il vero mai del tutto concretizzato) passaggio tra l'estabilishment culturale e il radicale modernismo "aperto" della società contemporanea.
Non a caso la storia di "Radio America" si svolge nel 1974, anno basilare della carriera di Altman grazie a "Nashwille", poderoso affresco di "parole e musica" dove al linguaggio della musica country aderiva la comunicazione verbale di una massiccia campagna elettorale.
"Radio America" può ingannare lo spettatore e forse non riesce a svelare immediatamente le sue qualità, rivelandosi solo col tempo e dopo una seconda visione un piccolo, grande capolavoro.

La morte di Altman costituisce una perdita enorme per il cinema americano con buona pace di tutti coloro che ritengono la sua produzione recente troppo laccata, accademica o compiaciuta. In realtà anche il precedente "The company" - viatico di un immaginario che si concretizzava nel mondo della danza - aveva indubbi pregi che pochi critici hanno saputo mettere in rilievo.
Altman ha sempre amato svelare non solo i meccanismi del monolitismo professionale/sociale ma anche la sua utopica tensione soggettiva. Anche un film apparentemente frivolo come "Pret-a-porter"- con la sua mise in scene bucolica e grottesca di un mondo artificiale - rivela in realtà tutta la spaesata incognita di una prigionia blandamente dorata.
Altman non è mai stato un regista facile da giudicare: ha ingannato gli spettatori troppe volte, anche a causa della sua stakanovista prolificità, e troppe volte, appunto, i suoi ammiratori si sono sentiti a loro volta traditi e ingannati. L'immagine di Altman è l'ossessione dell'Epilogo, il Preambolo di Morte. In un certo senso costituisce il percorso del suo cinema: la Morte appare ovunque, o in chiave metaforica o concreta, con la licenza lesionista del classico the show must go on immortalato soprattutto dalla mirabile sequenza finale di "Nashwille" (l'esordio di una nuova singer in un contesto inconsapevolmente opportunista): poteva essere un anno cruciale di Altamont e non è sicuramente un'ispirazione casuale.

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